Se Bossi lascia al suo destino Berlusconi dopo l’approvazione del federalismo

Visto come si stanno mettendo le cose per il Caimano ad Umberto Bossi converrebbe abbandonarlo al suo destino subito dopo l’approvazione dei decreti sul federalismo. Il sospetto che ciò possa accadere, in effetti, è forte. Ma ragioniamo su questa che per ora è soltanto una mera ipotesi

ROMA – Come è noto, qualche sera fa i due hanno siglato un patto in forza del quale, in cambio dell’appoggio della Lega a leggi “ad personam” che consentono, come sempre, al premier di scampare ai suoi destini giudiziari, il Pdl si impegnerà ad approvare ad ogni costo i decreti attuativi sul federalismo, la ragione sociale ed ossessiva della Lega. L’approvazione di questi decreti, secondo i dirigenti leghisti, è questione di un mese, al massimo un mese e mezzo. Il patto d’acciaio dell’altra sera comporta che i pesanti scandali sessuali del Cavaliere rimangano distinti dal federalismo. In tal senso oggi il capogruppo leghista alla Camera Marco Reguzzoni ha detto: “Il federalismo ha un suo percorso che non c’entra nulla con quello che sta succedendo”. Ma i leghisti sanno benissimo che non è così, sanno che la marea montante di accuse e indagini su Berlusconi possono minare alle fondamenta quella maggioranza alla Camera (e in parecchie commissioni, come si è visto nella vicenda della cosiddetta “Bicameralina”) che sola può consentire alla loro ossessione di diventare realtà.

Ora, il patto d’acciaio serve proprio a questo, a dare un minimo di sicurezza alla Lega. Fin quando i decreti attuativi non saranno approvati, Bossi non farà altro che appoggiare il cannoneggiamento pidiellino dei giudici e le folli proposte legislative in cantiere per vietare le intercettazioni con effetti retroattivi. Qualsiasi ipotesi di dividere i leghisti da Berlusconi sarà destinato a scontrarsi inevitabilmente con questa esigenza. Ma dopo? Cosa succederà un minuto dopo l’approvazione dei decreti attuativi, quando la Lega potrà dirsi soddisfatta del risultato raggiunto e presenterà al “popolo padano” quella che viene vista come una vittoria personale della dirigenza nordista?

Bossi e la Lega, in quel momento, non avrebbero più alcun effetto positivo nel continuare ad appoggiare un premier oramai più che azzoppato e totalmente screditato a livello internazionale. Oggi il “Times” di Londra (un giornale peraltro conservatore), a proposito delle vicende del Cavaliere, parla crudamente di una “farsa avvilente e distruttiva”. Vuole forse Bossi impantanarsi nelle sabbie mobili di processi al Caimano che non riusciranno a svolgersi per la manomissione che la maggioranza cui appartiene contribuirà in modo determinante a mettere a punto? Il popolo leghista, composto in massima parte da gente che sfacchina ogni giorno nel Nord produttivo, comprenderebbe questa partecipazione strutturale al più incredibile “cupio dissolvi” dai tempi di Nerone? In fondo, il risultato prefissato a quel punto sarebbe raggiunto con piena soddisfazione della “Padania” e nulla potrebbe temere il leader leghista da un progressivo quanto repentino allontanamento dell’alleanza tattica da un premier oramai pesto e incapace di rappresentare qualsiasi istanza politica.

La spinta verso una macerazione solitaria di Silvio Berlusconi potrebbe essere irresistibile. Una volta appurato che le forze di opposizione non contrasterebbero la regolare applicazione dei decreti federalisti, Bossi potrebbe far cadere il Governo e partecipare ad una nuova maggioranza (magari con Roberto Maroni Presidente del Consiglio, il che darebbe il sigillo della sicurezza ai primi vagiti federalisti), una “Große Koalition” che però, nei due anni restanti della legislatura, raggiunga tre obiettivi: a) modifica della legge elettorale (ispirandosi a quella per le regionali, che fino ad ora sembra aver funzionato meglio delle altre, con proporzionale a due turni e apparentamenti al secondo turno); b) legge sul conflitto di interessi che impedisca a Silvio Berlusconi e ad altri imprenditori nelle sue condizioni di assumere incarichi di governo; c) rilancio effettivo dell’economia, con qualcosa che assomigli alla proposta del Pd per incrementare l’occupazione giovanile (non la farsa approvata ieri dal Consiglio dei ministri).

Soprattutto il punto b) assume un rilievo fondamentale. Una nuova legge sul conflitto di interessi (ma sarebbe meglio dire soltanto una “legge sul conflitto di interessi” perché quella in vigore, elaborata dal ministro Frattini, non regola nulla) dovrebbe agevolare l’uscita definitiva di scena del proprietario di Mediaset. Perché questo è il punto: consentendogli ancora di dirigere l’opposizione, con le sue televisioni e la sua potenza economica, vorrebbe dire minare alla base qualsiasi maggioranza, come è d’altronde successo con quella prodiana nel 2007-2008. Il Caimano riprenderebbe la sua “battaglia” successiva al 1994 cercando di convincere gli italiani che la sua defenestrazione fu organizzata dai giudici e dalla sinistra comunista. L’esigenza fondamentale per il futuro immediato per il nostro Paese è che Berlusconi e i suoi principali gerarchi scompaiano dall’orizzonte politico, magari ritirandosi nei Caraibi ad organizzare esotici bunga bunga.

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