Fli implode, rischia esodo di massa e forse perde anche “Il Secolo d’Italia”

ROMA – Per cinquant’anni è stato il giornale della destra fascista, uno degli avamposti del revanscismo mussoliniano. Giorgio Almirante ne aveva fatto una sorta di icona della nostalgia. Praticamente tutta la classe dirigente del vecchio Msi, poi travasata in An e infine dispersa fra Pdl e Fli, da Fini a Gasparri, da La Russa a Matteoli, aveva frequentato – con poco profitto giornalistico – quella spoglia redazione seguendo la linea politica di un post-fascismo fortemente accentato. Ora “Il Secolo d’Italia”, qualche migliaia di copie di diffusione e un finanziamento pubblico di svariati milioni che lo tiene in piedi come una flebo, rischia di essere tolto al suo direttore Flavia Perina e ai finiani. È l’ultimo atto di guerra dei “colonnelli” di An, ora attaccati come il muschio alle viscere del berlusconismo, nei confronti dell’odiato leader di Fli. Enzo Raisi, deputato finiano e amministratore unico del quotidiano, dice sconsolato: “Con questo blitz hanno fatto tacere l’unico giornale che ha una voce dissonante nel centro-destra”. Oggi, infatti, si riunisce il consiglio di amministrazione nominato dal comitato dei garanti, dove la componente fedele al magnate di Arcore ha la maggioranza. Il suo obiettivo è togliere agli “insorti” del Pdl la voce storica del giornale. Flavia Perina, il suo direttore, sbotta: “L’accusa che il Secolo d’Italia sia il giornale di Fli è infondata. Siamo il giornale dell’anima più profonda della destra”. Poi mena il suo fendente: “La destra non può sostenere che è meglio arrestare gli studenti prima che scendano in piazza per manifestare, o inneggiare alla visita delle 500 ‘gheddafine’, o difendere i festini di Arcore”.

Fini e Bocchino in trincea

Il Caimano sembra che non si occupi nemmeno più di Fini e della sua creatura politica. Oramai considera entrambi come un piccolo incidente di percorso, una lotta che ha visto trionfare Golia. Il gruppo al Senato è oramai in stato agonico. Oggi pomeriggio Pasquale Viespoli, capogruppo di Fli, incontrerà l’intera delegazione dei senatori finiani per decidere cosa fare. La prospettiva è quella di abbandonare il partito per formare un gruppo, “Polo per l’italia” che dovrebbe essere la quarta gamba della maggioranza (dopo Pdl, Lega, i “Responsabili”). Lui non si sbilancia: “Tutte le ipotesi sono sul tappeto”. Se accadrà questo, il certificato di morte delle speranze finiane sarà stilato in forma ufficiale.

Il fallimento del progetto di Fli

Inutile nascondersi dietro l’ottimismo di facciata di Bocchino. Il progetto di una nuova destra, alternativa al berlusconismo, è fallito. Lui si dice convinto che “esodi di massa da Futuro e libertà non ce ne sono. I singoli se ne sono andati ma non si sono portati via nessuno. C’è un’operazione di Palazzo con l’acquisizione di alcuni parlamentari” ma sembra più una pietosa bugia per evitare proprio un “esodo di massa”. Ciò su cui non hanno fatto bene i conti e le previsioni è la potenza economica del Cavaliere. Gianfranco Fini lo ha chiaramente scritto sul suo (ex?) giornale, prendendosela con le enormi ricchezze e possibilità del leader del Pdl. Ma era un fattore largamente prevedibile. Le contrapposizioni che danno luogo a scissioni si possono fare se si è sicuri delle proprie truppe e si ponderano bene le forze dell’avversario, altrimenti sono destinate a fallire, come sta puntualmente avvenendo.

La mancanza di leadership

Nonostante sia lodevole e perfino coraggioso, il tentativo di Fini di dare la spallata a Berlusconi è stato velleitario, privo com’era di una progettualità di struttura. Affidarsi al web e ad un’idea, per quanto nobile, di politica, sfidando peraltro le gerarchie cattoliche sul piano delle questioni bioetiche, appariva cosa troppo rischiosa per raggiungere i risultati sperati. Poi ci si è messo anche un deficit di carisma personale da parte dello stesso Fini, incapace di mantenere uniti personaggi assai diversi fra di loro, alcuni dei quali con interessi che non coincidevano con l’ambito della politica “tout court” (come l’imbarazzante Luca Barbareschi).

Ora anche i sondaggi sembrano comprovare questo fallimento. Se si votasse oggi, probabilmente la creatura finiana non supererebbe, o supererebbe di poco, il 3% dei consensi. Poco per una destra democratica che voleva nascere dalle macerie fumanti del berlusconismo e che ha, invece, finito per ustionarsi.

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