Libia. Gheddafi incita alla guerra civile e accusa Usa e Italia. Berlusconi pigola

TRIPOLI – Mentre il “satrapo” Gheddafi cerca disperatamente di salvare il suo potere incitando la popolazione che gli è rimasta fedele alla guerra civile, le sue farneticazioni arrivano ad accusare Usa e Italia di aver fornito i razzi utilizzati dai manifestanti a Bengasi. Un attacco durissimo al nostro Paese che dimostra quanto vani e sproporzionate sono state le accoglienze riservatagli soltanto qualche mese fa da Berlusconi. L’Idv ha subito proposto un’interrogazione urgente in cui chiede se sia vero che il Governo italiano abbia venduto armi a quello libico.

Silvio Berlusconi ha smentito seccamente al leader libico Gheddafi la possibilità che l’Italia abbia fornito armi o razzi ai manifestanti a Bengasi. Secondo quanto si apprende nel corso della telefonata, durata una ventina di minuti e avvenuta dopo le dichiarazioni di Gheddafi, Berlusconi ha parlato con il leader libico della situazione in Libia, ribadendo la necessità di una soluzione pacifica all’insegna della moderazione per scongiurare il rischio di degenerazione in una guerra civile. Il leader libico Muammar Gheddafi ha rassicurato in una telefonata con il premier Silvio Berlusconi sulla situazione in Libia, dicendo che nel Paese va tutto bene e che la verità sugli eventi la dicono i media libici. Lo riferisce l’agenzia libica Jana.

Il massacro continua

Sta assumendo dimensioni spaventose il massacro in corso in Libia, dove testimoni parlano di 1.000 morti nella furia che il regime ha scatenato contro la rivolta bombardando i manifestanti a Tripoli. Una carneficina anche nell’est del Paese, dove è cominciata la protesta contro il regime del colonnello e dove ad oggi intere zone sarebbero passate sotto il controllo dei rivoltosi. Ma anche qui le vittime – secondo testimoni – si contano a centinaia: oltre 400 in uno solo degli ospedali a Bengasi dove si lavora senza sosta e ai minimi termini perché mancano medicinali e personale, nella corsa contro il tempo per soccorrere i feriti che arrivano a decine. Il regime, attraverso un tabella diffusa dal figlio del Colonnello, Saif Al Islam, ammette 300 morti (242 civili, di cui oltre cento a Bengasi, e 58 militari). Ordini di azioni di guerra dettati da Gheddafi in persona e di devastanti distruzioni ecologiche sarebbero già in circolazione. Secondo fonti citate da “Al Jazira” il colonnello aveva dato l’ordine di cannoneggiare Bengasi da due navi che però hanno disertato rifugiandosi a Malta. La Libia comunque già in fiamme la raccontano ancora i testimoni: il presidente della Comunità del Mondo Arabo in Italia (Comai) Foad Aodi, che è in costante contatto, da Roma, con alcuni testimoni in Libia, ha parlato di oltre 1.000 morti a Tripoli. Testimoni oculari hanno riferito alla Bbc di sparatorie nelle strade della capitale, spari sono stati uditi in più parti della città anche durante il discorso di Gheddafi, dopo il quale non sono state registrate particolari reazioni nella strade della città dove però l’opposizione starebbe organizzando una nuova manifestazione per questa sera stessa e dimostranti si starebbero già dirigendo a Tripoli da altre città del Paese.

Continuano i rimpatri dei connazionali

Continuano intanto i rimpatri da delle migliaia di stranieri che vivono e lavorano in Libia: sono circa 400 gli italiani già rientrati in Italia sui 1.500 residenti nel Paese. In serata il presidente del parlamento libico ha sostenuto che la calma è stata «ristabilita nella maggior parte delle grandi città», ma in giornata i soldati passati dalla parte dei rivoltosi avevano riferito che non è più sotto il controllo di Gheddafi tutto l’est della Libia dopo la rivolta scoppiata nel capoluogo della Cirenaica Bengasi e dilagata poi in tutto il Paese. I residenti di Tobruk – la città più a est e l’ultima prima del confine con l’Egitto – hanno inoltre riferito che la città è da tre giorni controllata dalla popolazione. Il fumo che aleggia sopra le case, hanno aggiunto, è quello di un deposito di munizioni bombardato dalle truppe leali al leader libico. «Tutte le zone orientali sono fuori dal controllo di Gheddafi, la popolazione e l’esercito stanno fianco a fianco qui», ha detto l’ex maggiore dell’esercito Hani Saad Marjaa alla Reuters. Il bagno di sangue, però, non si è fermato nemmeno a Bengasi da dove oggi al Jazira ha mostrato ancora immagini di cadaveri carbonizzati e resti di corpi umani che la tv panaraba ha detto essere immagini «riprese stamattina tramite telefoni cellulari».

“Time”: Gheddafi sta sabotando i pozzi petroliferi

Il colonnello Muammar Gheddafi ha ordinato alle forze di sicurezza di sabotare i pozzi di petrolio e le strutture estrattive, a cominciare dall’esplosione delle condutture dirette verso il Mediterraneo. Lo afferma Robert Baer, giornalista della rivista americana Time, specilizzato in questioni di intelligence. «Secondo una fonte locale – scrive Baer sul sito del Time – Gheddafi ha ordinato queste operazioni di sabotaggio allo scopo di mandare un messaggio chiaro ai rivoltosi che con le loro proteste stanno abbattendo il suo regime in tutto il Paese: o me o il caos». Baer, che in passato è stato un ufficiale della Cia in Medio Oriente, aggiunge che secondo la sua fonte, Gheddafi può contare sulla fedeltà di solo 5.000 dei 45mila soldati di cui è formato l’esercito regolare libico. Infine, la fonte di Baer riferisce che Gheddafi ha anche ordinato la liberazione dal carcere di molti militanti islamici, nella speranza che anche loro possano contribuire a far aumentare il caos nel Paese.

L’Onu condanna le violenze del governo libico

Il Consiglio di Sicurezza dell’ Onu ha approvato in serata all’unanimità una dichiarazione in cui si «condannano le violenze» degli ultimi giorni in Libia e si «deplora la repressione» avviata dal governo di Muammar Gheddafi. Maria Luiza Ribeiro Viotti, ambasciatrice del Brasile all’Onu e presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, ha letto alla stampa la dichiarazione in cui si esprime «profondo rammarico per la morte di centinaia di persone». Il documento, approvato all’unanimità dai Quindici, si appella «al governo della Libia, che ha la responsabilità di proteggere i civili», ed esprime «profonda preoccupazione per la situazione dei cittadini stranieri» presenti in Libia. Mark Llyal Grant, ambasciatore britannico al Palazzo di Vetro, ha indicato che «di sicuro il Consiglio di Sicurezza si riunirà di nuovo» per discutere degli sviluppi nel Paese. Anche gli Stati Uniti hanno avuto parole molto dure per la Libia, chiedendo una transizione senza violenze verso la democrazia. A Washington il segretario di Stato Usa Hillary Clinton ha condannato in particolare quelle che lei ha definito «le violenze totalmente inaccettabili». Il bagno di sangue «è inaccettabile», e il governo libico ha il dovere di rispettare «i diritti di tutti i suoi cittadini», ha detto la Clinton, che si è detta molto allarmata dalla situazione, confermando che gli Usa sono pronti a fare «i passi appropriati» insieme con la comunità internazionale. Il Consiglio di sicurezza si era riunito una prima volta in mattinata, a porte chiuse, ed ha poi deciso di ascoltare l’ambasciatore libico Mohamed Salgham nel pomeriggio, dopo un rapporto sulla situazione in Libia ed in Medio Oriente da parte di Lynn Pascoe, responsabile per gli affari politici. Contrariamente al suo vice Ibrahim Dabbashi che parla di «genocidio», Shalgham è rimasto fedele al leader Muammar Gheddafi. Scambiando qualche battuta con i giornalisti del Palazzo di Vetro, il diplomatico ha detto: «Sono con Gheddafi, è mio amico». Intanto, l’ambasciatore libico negli Usa, Ali Aujali, ha lasciato l’incarico a Washington, chiedendo a Gheddafi di dimettersi. A pochi metri da Shalgam, c’era anche Dabbashi – pure lui presente alla riunione dei Quindici – che ha avuto ancora un volta parole durissime contro il regime di Gheddafi. Dabbashi ha appoggiato la dichiarazione del Consiglio, definendolo un messaggio «buono» anche se «non abbastanza forte». Il diplomatico, che sarebbe ancora in carica nonostante gli screzi con il suo ambasciatore, ha ribadito che «è in corso un genocidio» nella «parte occidentale della Libia». Dabbashi, il cui futuro non è al momento per niente chiaro, ha detto infine «sperare che le informazioni che ricevo non siano vere, ma, se lo fossero, come temo, significa che è davvero iniziato un genocidio contro la popolazione libica».

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