Gerusalemme. L’eccidio di Itamar e il valore della vita umana

GERUSALEMME – Ieri si sono svolti i funerali dei cinque componenti della famiglia Fogel.  

Migliaia di persone, hanno preso parte alle esequie dei cinque esseri umani, uccisi in modo efferato nella notte di venerdì, nella colonia di Itamar (Cisgiordania). Molte personalità religiose e politiche israelitiche hanno pronunciato nel cimitero Har ha-Menuchot gli elogi funebri per Ruth e Ehud Fogel e per i loro tre figli: Yoav di11 anni, Elad di 4, e Hadas, di tre mesi.
Rivolgendosi ai coloni, che vorrebbero impugnare le leggi della ataviche della vendetta, il rabbino Yona Metzger, ha esclamato: “Il Signore vendicherà il loro sangue. Spetta all’Altissimo, non agli esseri umani”. Le agenzie riportano che il rabbino Metzger ha ‘consigliato’ alle autorità di trasformare il piccolo insediamento di Itamar, un villaggio di un centinaio di case, “in una grande città di Israele”. E noi ci chiediamo angosciati se, per questo esponente religioso, il prezzo dei Fogel, massacrati ferocemente a coltellate da sconosciuti, sia un nuovo enorme insediamento urbano che priva i palestinesi della loro terra.

Eppure gli inquirenti israeliani ritengono che il massacro della famiglia dei coloni, potrebbe essere una vendetta per l’uccisione di un parente, e che quindi non sia nata in seno a gruppi armati legati a fazioni palestinesi, e che la rivendicazione di responsabilità, fatta ieri da un gruppo armato legato al Fatah, sia stata fatta per nascondere il vero movente dell’assassinio. E allora noi vorremmo comprendere il senso di queste affermazioni assurde fatte dagli esponenti religiosi e politici israeliani. Perché invece di cercare i veri colpevoli e di assicurali alla giustizia terrena, si vuole, in modo delinquenziale, far pagare il misfatto all’intera comunità palestinese. Sembra che si dica ai coloni israeliani: “Non vendicatevi, non usate la legge che dice ‘occhio per occhio dente per dente’, questo massacro si trasformerà per voi in una carta vincente, perché sarà il salvacondotto per nuovi insediamenti”. Tutto questo è un abominio per una società civile ed umana.

Noi vorremmo capire di più questa ‘logica’ che dà un prezzo alla vita umana. Vorremmo che qualcuno ci spiegasse il perché di questa silente distruzione dell’identità umana del popolo palestinese. Vorremmo anche approfondire questo accadimento e cercare di dargli un senso, che più si avvicini alla realtà obiettiva dei fatti. Vorremmo, scrivendo, cercare le parole che spieghino, anche a noi che scriviamo, la motivazione, la sostanza e i contenuti profondi, sia del feroce assassinio, sia delle reazioni politiche scandalose che sono seguite alla tragedia.

Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha definito l’eccidio: “spregevole, immorale e inumano”,  definendo il criminale come un essere disumano: “un essere umano non può essere capace di atti di questo genere”. Inoltre Abbas ha respinto le accuse del premier israeliano Benjamin Netanyahu, secondo il quale nelle scuole e nelle moschee palestinesi si incita a compiere atti come quello accaduto a Itamar.

Ma questo non è bastato a Netanyahu il quale ha pensato bene di usare in modo delinquenziale questa tragedia per favorire i coloni, dando loro il benestare per la costruzione di nuovi insediamenti che, come dicevamo, servono per ‘placare la vendetta dei coloni’. Anche un dirigente del movimento dei coloni, Gershon Messika, dimentico delle scene del massacro di Itamar, ha già invitato il premier Benyamin Netanyahu a visitare quell’insediamento, “per abbracciarvi gli abitanti e per annunciare la costruzione di cinque nuovi rioni”. Sono reazioni queste che dovrebbero far inorridire chiunque sappia ancora il significato della parola umano. I dirigenti politici israeliani, che, come in qualsiasi parte dei paesi democratici, sono la rappresentazione del popolo che li ha votati,  da tempo ormai hanno abbandonato l’idea di una convivenza egualitaria con il popolo palestinese. Ci chiediamo anche perché l’etnia religiosa israelitica, la quale da 1700 anni è vittima dei rappresentanti del cristianesimo, compresi nazisti e fascisti della prima metà del secolo scorso, non sappia riconoscere nel popolo palestinese qualcosa che si avvicini anche lontanamente all’umano. Forse il perché sta nella loro supina rassegnazione ai carnefici soprattutto negli anni che vanno dal  ’33 al ‘45: la vittima che non si ribella si identifica sempre con l’aggressore. E gli ebrei, a parte qualche rarissimo caso non si sono ribellati ai nazisti, anzi, come scrisse Hannah Arendt, erano gli stessi capi delle comunità ebraiche a stilare le liste per la deportazione dei loro correligionari.

È chiaro che questa ferocia razionale che ora contraddistingue i rappresentanti dello Stato di Israele è da ricercare non tanto nel sionismo – movimento nato quasi parallelamente alla Rivoluzione francese, e sviluppatosi per tutto l’ottocento  per essere poi teorizzato da colui che ne è considerato il fondatore, Theodor Herzl – ma nella sua degenerazione che ha perduto completamente quelli che furono le sue prime condivisibili istanze. Le profonde motivazioni culturali, che scorrono come fiumi carsici sotto il fenomeno Israele, difficilmente possono essere comprese nello spazio di un articolo. Nondimeno, esasperando una sintesi, possiamo dire che la spinta indentitaria intesa come appartenenza etnica e religiosa è decisamente superiore alla cultura occidentale. Questo modo di pensare dovuto ad una assoluta fusione tra cultura e religione, tra lingua e testi sacri, esasperate dal contesto storico attuale, porta questa identificazione totale con lo Stato di Israele, che per i suoi abitanti, ma anche per gli ebrei sparsi nel mondo, diviene qualcosa di sacro e quindi intangibile a scapito di chi non fa parte del popolo eletto dal loro dio. Tutto questo naturalmente generalizzando molti israeliani la pensano ben diversamente.

Comunque sia, l’idea iniziale di Herzl, il quale si rese conto che l’assimilazione e l’integrazione degli ebrei in Europa non aveva dato frutti e che gli ebrei avevano bisogno di un proprio Stato, dove poter vivere in pace e sicurezza lontano dai pregiudizi e dalle false accuse tipici dell’antisemitismo, si è da una parte realizzata e da una parte snaturata. E questo è sotto gli occhi del mondo dei vedenti: nel corso di questi 20 anni gli israeliani hanno portato avanti una politica di demolizione sistematica delle abitazioni palestinesi. In 20 anni il numero di israeliani che vivono in Cisgiordania o a Gerusalemme est è triplicato fino ad arrivare a 500.000. In 20 anni il popolo palestinese è stato affamato, umiliato, depredato delle sue terre ed infine ucciso. In 20 anni l’esercito israeliano ha ucciso 7.398 Palestinesi, tra i quali 1.537 minori. I Palestinesi, hanno ucciso 1.483 Israeliani, di cui 139 minori. Gli insediamenti ebraici significano morte per gli Israeliani e morte e desolazione per i Palestinesi. In questo quadro drammatico la vita umana non ha peso né valore. Senza dubbio non ne ha più per chi ha sterminato la famiglia dei coloni; senza dubbio non ne ha più per quegli israeliani che hanno barattato la pietas, dovuta alla famiglia Fogel, in case da costruire sulle terre di un popolo vinto e senza voce.

Condividi sui social

Articoli correlati

Università

Poesia

Note fuori le righe