150° dell’Unità italiana. La Lega, il partito eversivo che non parteciperà alle celebrazioni

ROMA – Una forza politica antinazionale, contraria all’Italia come Nazione e come Paese. Una forza politica che, nonostante i suoi asserti, è ancora pienamente convinta della necessità della secessione, formalmente abbandonata nel 2001. Una forza politica che domani non parteciperà alle ricorrenze del 150° dell’Unità d’Italia, la più importante celebrazione laica insieme alla festa di Liberazione (25 aprile), per ricordare la recente storia passata italiana.

È come se in Germania ci fosse un partito di governo che si rifiuta di festeggiare il 1989, cioè la riunificazione tedesca o il processo di unificazione avviato dopo la vittoria prussiana contro i francesi di Napoleone III a Sedan nel 1870, o come se in America un gruppo politico di primaria importanza si rifiutasse di partecipare alle celebrazioni della guerra di indipendenza e la nascita della federazione degli Stati Uniti (4 luglio). Non sembra che ci voglia molto altro per dimostrare come il partito di Bossi sia un pericolo per l’Italia e per la sua stessa esistenza.

Oggi, grazie a Silvio Berlusconi, non solo questo partito eversivo, che conquista poco più del 10% dei suffragi, come “Sel” di Nichi Vendola (secondo i sondaggi), non è ai margini della vita politica nazionale, come logica vorrebbe, ma esprime la “golden share” governativa, detta i temi dell’agenda politica, impone nomi e persone negli enti economici di rilievo, decide quali ministri inserire nell’Esecutivo, riesce perfino a ostacolare fino alla fine, senza riuscirci, la festività nazionale per il 17 marzo, che per lei non avrebbe dovuto svolgersi, visto che l’Italia come Nazione unita non è un valore ma esattamente il contrario.

Nello stesso tempo, la Lega lavora da tempo immemorabile per screditare chiunque non appartenga a quella terra mitica e inesistente che è la Padania, concepita come cuore pulsante produttivo che oramai sente come un fardello insopportabile il cuore improduttivo del Paese, cioè il Sud. E così prospetta, fra le altre cose, lo spostamento dei ministeri al Nord, ciò che rappresenta soltanto un primo passo verso la costruzione della secessione, cioè il distacco della Padania dal resto della Nazione. Nei sogni leghisti e dei suoi militanti c’è un’Italia che non è quella formatasi con i plebisciti del 1861 e concepita da “padani” come Mazzini, Garibaldi, Cavour, Massimo D’Azeglio, ma quella che sarebbe risultata se non si fossero vinte le guerre di indipendenza contro l’Austria e la stessa, assai sciagurata per numero di morti, prima guerra mondiale. Nei sogni leghisti non c’è più una lingua nazionale, sognata con determinante intelligenza da Dante Alighieri e da Francesco Petrarca, e poi costruita mirabilmente dal lavoro letterario di Alessandro Manzoni, che d’altronde trova la sua fonte prioritaria nella lingua dei Romani, ma l’universo indeterminato e frammentato del longobardo, idealizzato, anche se in forma incolta, dai dialettismi delle “piccole patrie” di seicentesca memoria.

La Lega come forza barbarica, dunque, che cerca il consenso popolare in una confusa e pericolosa contrapposizione fra “razze” – come nella migliore tradizione della destra eversiva – ma che al tempo stesso rifiuta quello che, proprio per la destra, è un dogma irrinunciabile, cioè l’unità nazionale. E suscitano ilarità le dichiarazioni del ministro Ignazio La Russa, che al tempo del neo-fascismo d’antan, si batteva contro il Trattato di Osimo (1975) che cedeva la cosiddetta “zona B” (l’Istria nord-occidentale) alla Jugoslavia, in nome dell’identità nazionale, il quale oggi riesce a balbettare, dietro i peli della sua barba forse tinta, qualcosa di assai confuso contro il camerata Bossi e le intemerate dei suoi militanti, a sostegno del 17 marzo, cercando ovviamente di non irritarlo. Dietro le ridicole parole di Ignazio La Russa si nasconde, e nemmeno troppo bene, la realtà di un centro-destra complessivamente inchinato a 90 gradi di fronte al partito antinazionale, tanto prono che si fatica a credere che almeno parte dei suoi elettori, 30 anni fa, si dichiarasse unico difensore dell’italianità del nostro Paese.

Il giorno in cui gli elettori del Pdl si convinceranno dei pericoli mortali che la loro “Patria”, che la stessa nostra “storia nazionale” stanno correndo con la dominazione leghista, la vita politica di Bossi e dei suoi legionari potrà dirsi, come il ventennio fascista, finalmente terminata per sempre. È soprattutto questo l’auspicio sotto il quale possiamo festeggiare la ricorrenza del 17 marzo 2011.

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