Istat: sale il popolo dei senza fissa dimora salgono

Coldiretti, sei milioni senza un pasto adeguato

ROMA – Sono 50.724 le persone senza dimora che, a novembre e dicembre 2014, hanno utilizzato almeno un servizio di mensa o accoglienza notturna. L’ammontare corrisponde al 2,43 per mille della popolazione, valore in aumento rispetto a tre anni prima quando era il 2,31 per mille (47.648 persone). E’ quanto stima l’Istat.

La perdita di un lavoro stabile insieme alla separazione dal coniuge e/o dai figli si confermano come gli eventi più rilevanti del percorso di progressiva emarginazione che conduce a questa condizione. Un peso di un certo rilievo, seppure più contenuto, lo hanno anche le cattive condizioni di salute (disabilità, malattie croniche, dipendenze).  

Nel 2014 è stata realizzata la seconda indagine sulla condizione delle persone che vivono in povertà estrema, a seguito di una convenzione tra Istat, ministero del Lavoro, Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora e Caritas.Il collettivo osservato dall’indagine include, sottolinea l’Istat, anche individui non iscritti in anagrafe o residenti in comuni diversi da quelli dove si trovano a gravitare. Circa i due terzi delle persone senza dimora (68,7%) dichiarano di essere iscritte all’anagrafe di un comune italiano, valore che scende al 48,1% tra i cittadini stranieri e raggiunge il 97,2% tra gli italiani.La quota di persone senza dimora che si registra nelle regioni del Nord-Ovest (38%) è del tutto simile a quella stimata nel 2011, così come quella del Centro (23,7%) e delle Isole (9,2%); nel Nord-Est si osserva invece una diminuzione (dal 19,7% al 18%) che si contrappone all’aumento nel Sud (dall’8,7% all’11,1%). Rispetto  al 2011, vengono confermate anche le principali

caratteristiche delle persone senza dimora: si tratta per lo più di uomini (85,7%), stranieri (58,2%), con meno di 54 anni (75,8%) – anche se, a seguito della diminuzione degli under34 stranieri, l’età media è leggermente aumentata (da 42,1 a 44,0) – o con basso titolo di studio (solo un terzo raggiunge almeno il diploma di scuola media superiore). Cresce rispetto al passato la percentuale  di chi vive solo (da 72,9% a 76,5%), a svantaggio di chi vive con un partner o un figlio (dall’8% al 6%); poco più della metà (il 51%) dichiara di non essersi mai sposato. Anche la durata della condizione di senza dimora, rispetto al 2011 si allunga: diminuiscono, dal 28,5% al 17,4%, quanti sono senza dimora da meno di tre mesi (si dimezzano quanti lo sono da meno di 1 mese), mentre aumentano, le quote di chi lo è da più di due anni (dal 27,4% al 41,1%) e di chi lo è da oltre 4 anni (dal 16% sale al 21,4%).

L’indagine, rende noto l’Istat, è stata condotta in 158 comuni. L’ammontare delle persone senza fissa dimora corrisponde al 2,43 per mille della popolazione regolarmente iscritta presso i comuni considerati dall’indagine.

E non è tutto. A questo dramma si aggiungono gli  oltre 6 milioni di persone che non hanno denaro a sufficienza neanche per alimentarsi adeguatamente ed hanno quindi bisogno di aiuto per mangiare. E’ quanto ricorda la Coldiretti, sottolineando che il 12,6 per cento di individui non possono permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni. Le maggiori difficoltà dal punto di vista alimentare si registrano – continua Coldiretti – nel mezzogiorno di Italia dove la percentuale sale al 17 per cento, tra le famiglie monoreddito dove è il 17,3 per cento e tra le persone sole con piu’ di 65 anni con il 14,5 per cento. Una situazione che – sostiene la Coldiretti – si scontra con il fatto che ogni italiano che ha comunque buttato nel bidone della spazzatura durante l’anno ben 76 chili di prodotti alimentari che sarebbe piu’ che sufficienti a garantire cibo adeguato per tutti i cittadini. Un problema che riguarda in Italia l’interna filiera dove gli sprechi alimentari – conclude la Coldiretti – ammontano in valore a 12,5 miliardi che sono persi per il 54 per cento al consumo, per il 21 per cento nella ristorazione, per il 15 per cento nella distribuzione commerciale e per l’8 per cento nell’agricoltura e per il 2 per cento nella trasformazione.

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