Regeni ucciso da una banda di rapinatori: verità di comodo

IL CAIRO – Sarebbe stata una banda specializzata in rapine e sequestri ad uccidere il giovane Regeni. Banda che le forze di polizia egiziane avrebbero sgominato. Il collegamento sarebbe il passaporto di Regeni rinvenuto  in casa di familiari di un componente della banda. E’ lo stesso ministero dell’Interno egiziano ad annunciare questa scoperta, che a loro detta, risolverebbe il caso.

“Gli apparati di sicurezza hanno concluso le indagini e informato la parte italiana dei risultati. Il ministero ringrazia la parte italiana per la sua piena cooperazione nella fase precedente che ha contribuito ad ottenere a questo risultato”: lo si dichiara a conclusione del comunicato del ministero dell’Interno egiziano pubblicato ieri

sera dall’agenzia Mena sulla banda di sequestratori sgominata e sul rinvenimento dei documenti di Giulio Regeni in casa della sorella del capo della banda. 

Secondo il ministero degli Interni, i documenti si  trovavano in “una borsa rossa con sopra la bandiera italiana”, insieme ad altri effetti personali appartenenti a Giulio Regeni, come la sua carta di credito e due cellulari. L”appartamento nel quale sono stati rinvenuti, situato nel governatorato di Qalyoubiya, a nord del Cairo, 

è di proprietà della sorella di uno dei membri della banda che, secondo le autorità, era dedita al sequestro di stranieri, il 52enne Tarek Saad. La moglie, interrogata, ha sostenuto che la borsa rossa appartiene al marito.

Ieri, Saad, insieme al figlio 26enne e ad altri due uomini di 40 e 60 anni, erano rimasti uccisi in uno scontro a fuoco con la polizia che li aveva individuati e stava cercando di arrestarli. Secondo il ministero degli Interni, i sospetti facevano parte di una banda che   rapiva straniera allo scopo di derubarli: i quattro sarebbero stati coinvolti in nove casi del genere.

La versione egiziana non convince

Indubbio che quanto raccolto dagli investigatori egiziani non convince molto. “L’ultima ricostruzione fornita dalle autorità egiziane sull’omicidio di Giulio Regeni è inaccettabile e ha il sapore di un’ulteriore verità di comodo che, anziché far piena luce sul caso, sembra allontanarci sempre di più dalla realtà. Il Presidente Al Sisi aveva garantito massima collaborazione ma non ci pare che ciò stia avvenendo”. Lo afferma l’on. Ciccio Ferrara(Sinistra Italiana) componente del Copasir.

“L’Egitto pensa di chiudere in fretta il caso sull’omicidio dello studente italiano – prosegue – e afferma di aver individuato e ucciso una banda di sequestratori che avrebbero tenuto prigioniero Giulio a scopo di estorsione. Ma gli interrogativi aperti sono tanti. Se lo scopo del sequestro era ottenere un riscatto perché avrebbero seviziato per giorni Giulio fino ad ucciderlo? E perché avrebbero tenuto con sé gli effetti personali e i documenti del ragazzo? Manca poi una ricostruzione dei fatti, di come e quando questo sequestro sia avvenuto. E l’uccisione dell’intera banda non ci consentire’ di avere delle risposte”.  “Non accetteremo mai una verità di comodo – conclude Ferrara – non permetteremo che si occulti ciò che è davvero accaduto a Giulio Regeni. Il Governo italiano e a Procura di Roma non diano credito a questa che sembra proprio una falsa ricostruzione. E’ un oltraggio alla memoria di Giulio, alla sua famiglia e al Paese intero”.

Insomma sarebbero almeno tre le incongruenze nella ricostruzione del Cairo, secondo inquirenti ed investigatori. Il primo dubbio è legato proprio al ritrovamento dei documenti di Regeni: non è credibile, sottolineano fonti qualificate, che una banda di sequestratori e rapinatori abbia conservato per mesi passaporto e telefoni, con il rischio concreto di essere scoperti. Chiunque se ne sarebbe liberato all’istante. Il sospetto, dunque, è che quei documenti siano stati conservati da qualcun altro per poi farli saltare fuori al momento opportuno. Un altro punto che lascia molti dubbi è legato alle sevizie riscontrate sul corpo di Giulio e confermate anche dall’autopsia egiziana consegnata agli inquirenti italiani: perché una banda che aveva come unico obiettivo quello di rapinare Regeni lo avrebbe torturato per almeno una settimana? Così come non è credibile, secondo le nostre autorità, la vicenda del conflitto a fuoco in cui sono morti tutti coloro che in qualche modo avrebbero potuto fornire informazioni utili. Allo stato, inoltre, non c’è una sola prova accettabile dal punto di vista processuale che consenta ai nostri investigatori ed inquirenti di avere elementi che riconducano l’omicidio del ricercatore ai rapinatori uccisi ieri. “Dobbiamo continuare a scavare seguendo le nostre piste per trovare prove certe e fugare i dubbi” dicono le fonti, sottolineando che ad oggi l’Egitto non ha ancora risposto a due richieste ritenute fondamentali: la consegna di tutte le immagini delle telecamere della zona dove abitava Giulio e delle due stazioni della metropolitana che avrebbe dovuto utilizzare la sera della scomparsa – che gli egiziani dicono essere state cancellate o non utili ma che i nostri investigatori vogliono comunque visionare – e la consegna dei tabulati con l’elenco dei telefoni che il 25 gennaio hanno agganciato la cella che copre la zona dove abitava il ricercatore e di quelli contenenti i cellulari che il 3 febbraio hanno impegnato la cella dove è stato ritrovato il cadavere di Giulio. 

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