Usa 2016. Tutte le spine di Lady Terza via

Rassegnamoci: sarà Hillary Clinton. Ha vinto le primarie del Partito Democratico e, per quanto Sanders abbia annunciato di non volersi ancora arrendere e di volersela giocare fino in fondo, in una convention di Cleveland che si preannuncia tra le più interessanti e tese degli ultimi vent’anni, è ormai praticamente certo che sarà Lady Terza via a sfidare il miliardario Trump “che tremare il mondo fa” per i suoi eccessi, il suo populismo becero e le sue proposte pericolose e irrealizzabili che rischierebbero di isolare l’America e di mettere a repentaglio tutto ciò che essa rappresenta a livello planetario.

Tuttavia, bisogna essere onesti: se Trump ha cavalcato in solitaria alle primarie repubblicane e la Clinton, pur essendo mille volte più nota, più ricca, più sostenuta, più potente e annunciata da mesi come la candidata “in pectore” rispetto a Sanders, se nonostante tutto ciò ha impiegato assai più del previsto a battere l’anziano senatore del Vermont, dichiaratamente socialista, significa che la crisi non ha lasciato il segno solo in Italia e in Europa ma ancor di più nel Paese che ha inventato il liberismo e l’ha trasformato in una religione, al pari del dio denaro e di altri idoli di cartapesta, prontamente dissoltisi sotto i colpi di un impoverimento collettivo che ha minato alle fondamenta il concetto stesso di democrazia del ceto medio. 

Un’America non più America, dunque, una nazione fragile, in difficoltà, protagonista ma non più dominatrice, della quale Obama ha saputo comprendere fino in fondo l’anima e la collocazione nel Ventunesimo secolo mentre la Clinton non sembra ancora entrata in sintonia con la realtà del 2016. E così, osservando le sue mosse, sentendola parlare, assistendo al suo spostamento al centro, alla ricerca di quella classe di mezzo che la crisi ha assottigliato e incattivito, fino a renderla facile preda delle esagerazioni del magnate newyorkese e dello stuolo di pazzi scatenati che lo circonda, di fronte a questo mesto spettacolo, si ha la percezione che Lady Terza via si ostini a vivere in un mondo tutto suo, in un tempo che non c’è più, in una stagione, quella edonistica di suo marito, ereditata da Reagan e da Bush senior, che oltre ad aver causato una miriade di disastri (primo fra tutti l’abolizione del Glass-Steagall Act, con conseguente mano libera alla speculazione finanziaria da parte delle banche, causa principale della crisi dei mutui subprime deflagrata fra il 2007 e il 2008), è ormai consegnata ai libri di storia.

Non esiste errore più grave per un politico che tentare di salire a bordo della macchina del tempo: va bene in letteratura, va bene nel cinema, va bene nell’arte, va bene nel giornalismo quando ci si immerge nella bellezza o comunque nella necessità dei ricordi, ma in politica mai; in politica bisogna avere una straordinaria conoscenza della storia e una profonda lucidità d’analisi del presente ma o si guarda al futuro e si costruisce nella direzione verso cui si desidera andare o viene meno quel concetto di “egemonia culturale” tanto caro a Gramsci e, purtroppo, negli ultimi quarant’anni, molto più studiato e approfondito dalla destra americana che dalla sinistra europea e d’oltreoceano.
Una Clinton centrista, dicevamo, con un programma economico votato alla Reaganomics e una politica estera interventista costituirebbe la sconfessione della saggezza obamiana, vanificando anche l’impegno del presidente uscente a suo sostegno e il dispiegamento di forze messo in campo dai democratici e da numerosi settori dell’intellighenzia intellettuale, economica e di ogni altra natura per frenare l’avanzata di un soggetto onestamente intollerabile eppure spinto avanti nei sondaggi della rabbia, dalla furia, dal disincanto e dalla sofferenza di milioni di persone che non solo non credono più al “sogno americano” ma non credono più nemmeno al fatto che sia possibile sognare e sperare in qualcosa. Parliamo, soprattutto, della generazione che ha sostenuto Sanders, quella dei “millennials”, in cerca di autenticità, di sincerità, di un nuovo modello economico e di sviluppo, di un paradigma sociale diverso da quello che ha dominato l’ultimo trentennio, di figure rappresentative e in grado di comprendere e di parlare il loro linguaggio: è la generazione che ha abbracciato il vecchio Bernie e alla quale adesso Lady Terza via deve guardare senza infingimenti e senza minimamente azzardarsi a ingannarli se vuole aspirare a battere Trump a novembre. 
Perché il rancore sottile, silenzioso e devastante come un fiume carsico pronto a riemergere all’improvviso è il vero avversario sulla strada che separa Hillary dalla Casa Bianca: per sconfiggerlo, per neutralizzarlo, per trasformarlo in energia positiva a suo sostegno, la prima donna candidata ad un ruolo di tale prestigio dovrà avere l’intelligenza di compiere un’effettiva apertura verso un mondo che le è ostile e non si fida di lei, rassicurando le giovani generazioni sulle prospettive per il proprio futuro e sul fatto che un futuro per loro sia stato previsto e vincendo lo sgomento di quanti escono da Yale o da Princeton e, anziché un contratto a vari zeri, si trovano disoccupati o condannati a un precariato esistenziale che va ben al di là del lavoro.

Deve capire, in pratica, la Clinton che Sanders ha perso ma in realtà ha vinto, in quanto ha contribuito a modificare radicalmente il volto del Partito Democratico, dando cittadinanza ad una generazione che da esso non si sentiva rappresentata e restituendo una speranza e una passione politica a civile a ragazzi e ragazze che hanno rivisto in lui la meraviglia che avevano raccontato loro i padri o i nonni, descrivendo l’immaginario collettivo degli anni dei Kennedy e di Joan Baez, di Bob Dylan e delle marce del reverendo King, di Malcolm X, di Muhammad Ali e della stagione in cui tutti, in un modo o nell’altro, si sentivano in qualche modo al centro della scena e non confinati ai margini.

Nonno Bernie ha tracciato una strada, ha indicato un orizzonte e ha percorso con orgoglio e serietà il proprio sentiero, valorizzando una classe dirigente di tutto rispetto che senz’altro sarà protagonista nei prossimi decenni. 

Ha gettato il seme, lo ha innaffiato e ha messo in conto anche l’eventualità di non veder crescere l’albero, con la gioia e la serenità degli statisti che pensano e lavorano per le prossime generazioni e con la grandezza degli uomini che hanno dato un senso alla propria vita, innervandola con un amore per il prossimo e per la propria comunità che li ha resi migliori giorno dopo giorno.

Ne faccia tesoro Lady Terza via perché se vincerà, a novembre, il merito sarà soprattutto di questo generoso galantuomo d’altri tempi che ha recuperato alla politica e all’impegno civico un universo di ventenni ricchi di valori e di ideali che senza di lui sarebbe andato perduto mentre adesso costituisce la base solida su cui edificare una nuova America.

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