Tassa di solidarietà: malumori tra i calciatori. L’Italia affonda, ma il problema politico resta

ROMA – Ormai è navigazione a vista. Il timone vira da una parte all’altra senza che il timoniere lo sfiori. Ogni cinque minuti un presunto provvedimento e la certezza che la politica stia abdicando al volere dei potenti è più che una sensazione. Forse c’è ancora un barlume di coscienza e dovrebbe essere usata per capire che non si colpisce a macchia di leopardo ma secondo un principio di equità sociale.

La tassa voluta da Tremonti sui redditi superiori ai 90mila euro suscita le proteste dei “lavoratori del pallone”. “Super ricchi” per antonomasia che trovano pure il tempo per protestare. L’AD per eccellenza del calcio italiano, Adriano Galliani, parte in quarta e mette le mani avanti. “Qualunque cosa ci sia scritto sulla manovra del governo sul contributo di solidarietà, anticipo che per noi graverà al 100% sui calciatori”. Ci sarebbe da chiedersi se a pronunciare queste parole fosse stato uno qualunque e non l’uomo di Berlusconi, il Presidente fantasma del “grande” Milan, cosa sarebbe successo.

 

La reazione dei calciatori non si è fatta attendere poi molto. Che poi sia giusta o meno lo dirà la storia e il momento politico-sociale che stiamo attraversando. Quello che importa non è sentenziare se sia giusto o no questo provvedimento ma saper volare più alti. Esistono delle disparità incredibili tra i lavoratori italiani e questo deve uscir fuori. In queste sacche anomale, spropositate in quanto a ricchezza e lontane anni luce dalla normale situazione finanziaria di una famiglia media, c’è molto materiale sul quale metter mano per ammortizzare la grave situazione che stiamo vivendo. Ma non si può pensare che sia la panacea di ogni male; sarebbe stupido se non facessimo rientrare il tutto in un discorso più globale nel quale inserire l’imprenditoria più diffusa, le holding, le corporazioni, e tutti quei soggetti che per una vita hanno beneficiato di vantaggi incredibili. Occorre capire che stavolta il fisco dovrebbe essere la spinta per ripartire. Lo stesso Draghi fin dalle sue prime uscite affermò che i tagli sarebbero stati insufficienti e che ad essi avrebbe dovuto far seguito molto altro. Ma uno stato sociale non si smantella, semmai si riforma e si migliora (oltre al fatto non da minimizzare che ciascun paese detta le proprie regole interne!). Ma ritorniamo a Tremonti ed alla sua tassa di solidarietà. (Termine indegno per una pezza che va a coprire uno squilibrio costruito col tempo, figlio di un sistema sociale ed economico che non poteva che condurre a questi risvolti). Nel decreto della manovra-bis è previsto che vi sia un prelievo del 5% per chi guadagna più di 90mila euro lordi e del 10% per chi guadagna più di 150mila euro lordi l’anno. Da ormai consumato pompiere, il ministro della Semplificazione normativa Roberto Calderoli rincara la dose minacciando che “se dovessero continuare a minacciare scioperi o ritorsione proporrà che, come ai politici, anche ai calciatori venga raddoppiata l’aliquota del contributo di solidarietà” .

Credo che pochi in Italia siano contrari a questo preciso intervento che trova comunque la dura reazione del portierone della nazionale Gigi Buffon, di Tommasi ed altri famosi e quotati calciatori.
Persino il noto fiscalista Victor Uckmar (dal 1993 al 2011 nella Commissione di Vigilanza sulle Società di Calcio avverte come segnale positivo l’impegno a favore del provvedimento da parte degli stessi calciatori. Ma ripeto, è solo un granello di sabbia in un mare molto più ampio che è quello rappresentato dal gettito fiscale. Si ritorna a quanto scritto sopra, alla navigazione a vista, senza coordinate, con interventi a macchia di leopardo. Non vengono seguite regole di equità sociale, di trasparenza, di etica e morale. Non potrebbe forse neppure essere così. All’improvviso si chiedono sacrifici “eclatanti” quando c’era tutto il tempo e tante altre soluzioni per ammortizzare meglio questo drammatico momento. A riprova di questo c’è anche il quadro senza dubbio veritiero e condivisibile fatto da Romano Prodi che nella sua intervista rilasciata traccia una riflessione puntuale e senza sconti di sorta.  Per Prodi il problema è tutto politico e porta il nome di questo esecutivo. Un governo che ha saccheggiato l’Italia, che ha ampliato la forbice della disuguaglianza in modo tale da renderla oggi incolmabile. Le parole di Prodi suonano come lucida analisi di quello che era prima e che sta accadendo oggi. “In questa maggioranza ognuno ha la sua tesi e ognuno ha un’opinione diversa, ognuno mette un pezzo di veto e quel che ci rimane è un pezzettino di decisione che non può risanare un Paese”.

Fa raffronti e paragoni, non mancando di sottolineare come al posto di una discussione, di proposte puntuali e decise si ricorra oggi a tesi e opinioni singole, di parte o individuali. L’ultima parola l’ex Presidente del Consiglio la riserva all’evasione fiscale, mai nominata da questo governo ribadendo che “se non si colpisce questo fenomeno fra tre anni saremo daccapo”. La rinascita del Paese non può che passare attraverso un ridisegnamento della mappa economico-finanziaria che non si può davvero fermare alla sola Italia. Le agenzie di rating rispondono a stimoli politici e ora come ora sono solo “americano-dipendenti”.
Tassa di solidarietà quindi come elemento inutile? No, almeno se intesa come primo passo verso una redistribuzione sia nel campo del prelievo fiscale che delle risorse. Politici e calciatori, imprenditori e faccendieri sotto una stessa logica che risponde a regole sociali eque e precise!
Diversamente, sarebbe inutile se si colpisse solo oggi il mondo del calcio per salvare altre lobby o corporazioni. Serve prima di tutto un nuovo Governo, credibile e di garanzia e non un’accozzaglia partitica dove nessuno si farebbe capire all’esterno. L’Italia deve ripartire da una nuova consultazione Popolare. Il fondo è stato toccato. Si tratta solo di capire se da questo si voglia o no risalire.

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