Simone La Penna: un altro omicidio di stato?

ROMA – Ieri c’è stata l’udienza preliminare per il procedimento che vede imputate 12 persone per l’uccisione di Stefano Cucchi.

I magistrati hanno richiesto il rinvio a giudizio per tutti gli imputati e una condanna per due anni per il dirigente del Prap, il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, Claudio Marchiandi che ha scelto il rito abbreviato. Più o meno nelle stesse ore, la magistratura ha aperto un’inchiesta per la morte di Simone La Penna, ragazzo di 32 anni di Viterbo, morto il 26 novembre 2009 a Regina Coeli per un arresto cardiaco. L’uomo stava scontando una pena definitiva a 2 anni e 4 mesi per reati connessi al possesso di stupefacenti. Soffriva di anoressia nervosa e in carcere aveva perso 30 chili.

Viste le forti analogie con il caso Cucchi (entrambi i ragazzi avevano problemi di droga, e in entrambi i casi, con molta probabilità, andrà accertata la presenza di un comportamento negligente da parte di personale sanitario), la Procura di Roma oggi ha voluto precisare: “Non siamo di fronte a un nuovo caso Cucchi perché nella vicenda di Simone La Penna non si sono verificate vessazioni in ambiente penitenziario né maltrattamenti”. Per ora le persone indagate sono sette: sei medici e un infermiere della struttura sanitaria interna di Regina Coeli. Il reato ipotizzato è omicidio colposo.

La Penna aveva una figlia che oggi ha 3 anni. A vedere le foto che stanno circolando su stampa e web sembra impossibile credere che quel ragazzo, alto circa un metro e ottanta, pesasse 49 chili quando è stato trovato morto sulla brandina del suo letto. Era arrivato a Regina Coeli il 28 giugno, trasferito dal reparto medico per detenuti dell’ospedale Belcolle di Viterbo. I famigliari, e gli esperti da loro interpellati, avevano più volte sollecitato un intervento. Avevano denunciato che in quello stato, depresso e malato, Simone era incompatibile con il regime carcerario. Evidentemente, qualcuno all’interno della struttura non era dello stesso avviso. Ha dovuto ricredersi la mattina del 26 novembre.

La cronaca, dunque, continua a raccontarci il panorama, non esattamente “idilliaco” delle carceri italiane e del modo in cui viene trattata la popolazione detenuta. Una situazione che è ormai ipocrita definire di emergenza. Mentre la discussione politica sembra schiacciata sul tema del sovraffollamento, col governo che ha smesso anche di sbandierare il suo miracoloso “piano carceri”. Ma poi, qualcuno crede davvero che con più celle e più brandine, le storie come quella di Cucchi e di La Penna non si ripeteranno più?

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