Esodati. L’incompetenza del governo causa di intollerabili iniquità

ROMA – Wikipedia definisce la logica “scienza che tratta tutta la validità e le articolazioni di un discorso in termini di nessi inferenziali (consequenziali  ndr.) relativamente alle proposizioni che lo compongono.” Per Aristotele fu “scienza propedeutica ad ogni possibile conoscenza”.

Dunque “logica”  è sinonimo di rigore, coerenza, tanto nei ragionamenti quanto nei comportamenti, nelle scelte. E, da Aristotele in poi, nessuno può ritenersene esonerato, neppure i Ministri di un governo tecnico, fossero pure professori. O, eventualmente, la rottura dei nessi sequenziali, qualora fosse indotta da altri vincoli, dovrebbe essere riconosciuta e motivata nelle ragioni che la inducono.

Mi scuso per la pedanteria, ma mi è suggerita dalla osservazione di una serie di affermazioni e di atti che il Governo Monti, e segnatamente la Ministro Fornero, hanno dichiarato e compiuto in tema di politiche del lavoro e welfare, dal loro insediamento in poi. Forte allarme –indubbiamente motivato- per la esclusione di grande parte delle giovani generazioni dalle opportunità di inserimento lavorativo; evidenziazione della  contraddizione inter-generazionale, da questo punto di vista; e però riforma previdenziale che prolunga la vita lavorativa degli occupati fin oltre i limiti previsti dai regimi vigenti in tutti gli altri paesi dell’U.E.. Ciò mentre la nostra società è attraversata da una durissima recessione economica.

Quali nessi inferenziali orientano questa sequenza? Quale coerenza intrinseca? Neppure quella, banale, di fare cassa ad ogni costo, poiché anche la pura sostituzione nel lavoro che c’è di una generazione con un’altra non muterebbe i saldi, per la spesa pubblica. Per le imprese sì, visti i trattamenti riservati ai giovani lavoratori dal progressivo sedimentarsi di clausole normative e contrattuali per loro penalizzanti.
Vien da pensare che l’unica logica comprensibile consista in un retro-pensiero: libertà di licenziare chi oggi un lavoro ce l’ha, per sostituirlo con un giovane che –almeno per l’impresa- costa meno; e a chi viene licenziato nessuna particolare tutela fino a quando maturerà le nuove inasprite condizioni per il pensionamento.
E’, questa, interpretazione troppo maliziosa? Io non saprei trovarne altre; e la contro-prova è fornita da una questione agli onori della cronaca: quella degli “esodati”. Definizione esoterica che sta ad illustrare una condizione determinata da prassi tutt’altro che nuove, per chi sa come funzionano i rapporti reali dentro le imprese: la crisi determina l’esigenza di ridurre gli organici, l’azienda verifica se, tramite accordo collettivo o scelta individuale, vi sia chi, fra i propri dipendenti più vicini alle condizioni del pensionamento, accetti un periodo di cassa integrazione al termine del quale, acquisite le condizioni previste dalle normative vigenti, si pensionerà. Ciò determinerà la soluzione, o quanto meno l’alleggerimento del problema iniziale: la riduzione dell’organico per via meno traumatica e conflittuale.

Si diceva: prassi per nulla nuova nella realtà delle relazioni industriali, e non certo manifestazione di privilegio corporativo, come sembra considerarla grande parte dei commentatori dei fatti economici, che spesso ne parlano o ne scrivono con tono ammiccante ed allusivo. Si tratta pur sempre di lavoratori o lavoratrici che pattuiscono la cessazione della propria vita lavorativa, spesso anticipatamente rispetto ai progetti di vita, contribuendo così al governo consensuale di problemi aziendali imprevisti.
Qual è la novità? Che la recente riforma che prevede un drastico innalzamento dei requisiti di anzianità per l’accesso al pensionamento non ha tenuto in conto le molte migliaia di lavoratori che, nella fase di crisi che le imprese stanno vivendo, avevano precedentemente pattuito e avviato percorsi come quelli descritti, naturalmente tenendo conto della normativa previdenziale vigente al momento di stipulare l’intesa con l’azienda. Ne consegue che per costoro, in assenza di un intervento normativo specifico, si aprirebbe la prospettiva di un periodo, per alcuni di svariati anni, durante il quale non si percepirà più il salario, in quanto cessato il rapporto di lavoro, né la pensione, perché non ancora acquisiti i nuovi requisiti di legge.  

Che fare, dunque? La logica elementare dovrebbe indurre chi ha responsabilità di governo a dire: “abbiamo commesso un errore nel non tenere in conto queste situazioni, ci scusiamo, interverremo immediatamente per sanare il problema”. Invece così non è: da qualche mese ormai la questione è sospesa, di recente qualche intervento parziale, per il resto – si dice- “si vedrà”; e si alimenta, nel frattempo, quell’ambigua interpretazione dei fatti secondo cui l’”esodato”, in fondo, è il solito opportunista che rivendica privilegi.
Invece noi continuiamo a considerare la vicenda una delle non rare occasioni in cui l’incompetenza, se non la doppiezza, di alcuni nostri governanti è causa di intollerabili iniquità.

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