Monti si è messo nei pasticci. Ora serve un governo politico, un cambio di rotta

ROMA – E’ possibile fare il punto dopo circa 10 mesi di Governo Monti ? I “compiti a casa” dovevano servire ad ottenere dall’Europa – e dalla Germania – un impegno a sostenere il nostro paese ad affrontare la crisi finanziaria ed economica.

Il risultato è diverso. La riunione europea di giugno che ha deciso il meccanismo “salva spread” ha legato l’intervento alla richiesta formale da parte del paese in difficoltà. Questo qualifica l’intervento non come interesse comune ma solo del paese in difficoltà. Non a caso il premier spagnolo Rajoi ha cercato di allontanare il più possibile la richiesta di intervento, visto che già l’aiuto alle banche spagnole ha comportato l’adozione di tagli pesantissimi sullo stato sociale e sul lavoro.
Monti ha tenuto un comportamento solo apparentemente contraddittorio. Prima ha chiesto l’adozione del meccanismo “salva stati”, attribuendogli un carattere discriminante per il giudizio sull’esito della riunione europea del 28 giugno e quindi per non mettere il veto. Poi però dopo essersi vantato del risultato del vertice ha dichiarato che comunque l’Italia non avrebbe richiesto l’aiuto europeo.
Una stranezza, se non fosse emerso che l’Italia, anche senza sottostare all’eccesso di umiliazione della presenza della troika UE-BCE-FMI come in Grecia, avrebbe dovuto attivare l’intervento con una richiesta formale e a quel punto l’intervento sarebbe condizionato ad un memorandum di  impegni ulteriori di tagli e tasse. In pratica una cessione parziale di sovranità.

Il solo annuncio del  “salva stati “ non impressiona i mercati

Forse Monti ha sperato che bastasse l’annuncio del meccanismo “salva stati” per ottenere la remissività dei mercati. Purtroppo i mercati finanziari non si sono fatti impressionare  e nemmeno dalle dichiarazioni di Draghi, peraltro ora notevolemente ridimensionate. Anzi, ha colpito maggiormente la decisione della Corte Costituzionale tedesca di rinviare la valutazione sulla costituzionalità dell’adesione al fondo a metà settembre, lasciando tutti con un palmo di naso e gli speculatori pronti all’attacco perché il “salva stati” per ora non funziona.
Il fiscal compact è stato già approvato e sarà operativo quando 12 paesi l’avranno adottato, mentre il salva stati è per ora nella nebbia.
Il tentativo di spingere la Bce ad intervenire comunque sul mercato secondario dei titoli pubblici, lasciando intendere che avrebbe potuto intervenire anche sulle emissioni, è già finito. Draghi, dopo le prime dichiarazioni, ha chiarito che prima lo Stato in difficoltà chiede aiuto, poi l’UE decide sul memorandum, solo a quel punto ci sarà l’intervento della Bce sui titoli. Dove sarebbe la sconfitta dei falchi tedeschi ?
Se uno Stato vuole sostegno dovrà rinunciare alla sua sovranità che verrà delegata a livello europeo. Il resto sono chiacchiere. E’ lecito chiedersi se sia stato giusto puntare su un meccanismo che ora si cerca in ogni modo di evitare, ben sapendo che costerebbe all’Italia altre lagrime e altro sangue ?
Se Monti era convinto che le condizioni ottenute erano tali da giustificare il voto a favore dell’Italia, che in precedenza aveva minacciato di non dare, perché poi ha deciso di ritardare il più possibile la richiesta ?
In realtà il meccanismo del salva stati è o inutile o, peggio, dannoso, perché lascia del tutto irrisolti i  due problemi centrali della situazione attuale.

Non risolti i problemi dello sviluppo e del costo del debito

 
Il primo è la scelta di una politica di sviluppo, ambientalmente sostenibile, fondata sulla centralità dell’occupazione, anziché sulla svalutazione interna del lavoro, dello stato sociale come sta avvenendo con i tagli appena decisi e come denunciano in particolare le Regioni.
I mercati finanziari, con atteggiamento beffardo, hanno chiarito che non si fidano di un paese che tagliando e tassando sta condannandosi alla recessione, che a fine anno sarà attorno al 3 per cento, a 3 milioni di disoccupati (con la maggiore crescita tra i giovani), a oltre mezzo milione di lavoratori in cassa integrazione.
Il secondo è che a livello europeo occorre affrontare il vero punto della solidarietà e cioè ridurre il guadagno di alcuni paesi sullo spread e sui tassi per il sistema economico, a favore di chi sta subendo rialzi senza giustificazione oggettiva.
Non può reggere una situazione in cui chi guadagna sugli spread decine di miliardi di euro (così compensa i quattrini sborsati per sostenere le sue banche) lascia i paesi sotto attacco soli ad affrontare la crisi, con la palla al piede di tassi di interesse insopportabili.

La battaglia europea impostata in modo discutibile

Il salva spread non solo mette chi chiede aiuto alla mercè di chi lo fornisce, ma non risolve il problema del costo del debito per il paese in difficoltà, non essendo stato definito un livello sufficientemente basso (ad esempio 200 punti) al di sopra del quale scatta l’intervento automatico di alleggerimento dei tassi.
Quindi grande battaglia per ottenere un meccanismo salva stati con funzionamento incerto almeno fino a metà settembre, e non automatico al di sopra di una soglia stabilita. Senza riduzione dello spread ai minimi termini l’intervento diventerebbe socialmente costoso per il paese che lo chiede che per di più dovrebbe rinunciare unilateralmente a buona parte della sua sovranità. Purtroppo la grande battaglia europea di Monti è stata impostata in modo discutibile e ora siamo tutti nei pasticci.
Interventi per diminuire lo stock del debito possono essere utili, se non fanno danni maggiori al paese, ma hanno bisogno di tempo. Vendere in tempi di crisi è rischioso.
La vera carta da giocare oggi è la scelta di rilanciare lo sviluppo, sia con interventi europei che con interventi italiani, che andrebbero finanziati con la patrimoniale, una maggiore tassazione delle rendite, l’accordo con la Svizzera (e non solo) sui capitali esportati, il recupero dell’Iva evasa con lo scudo fiscale, una lotta seria all’evasione fiscale.

Occorre ridare fiato ai redditi da lavoro e all’economia

 Queste risorse non debbono ridurre il debito ma ridare fiato ai redditi da lavoro e all’economia. Il debito per ora andrebbe stabilizzato, ridotto anche con le vendite, ma investendo le magre risorse disponibili nello sviluppo e nella crescita dell’occupazione e dei redditi più bassi, prima che un’ulteriore desertificazione blocchi ogni possibilità di ripresa. Altrimenti quanto abbiamo visto finora in termini di riduzione dei redditi da lavoro e dello stato sociale è solo l’antipasto.
Serve trascinare questa situazione ? Non è meglio decidere prima un governo politico, forte di un mandato elettorale, in grado di adottare misure che fanno pagare chi ha e non chi ha già dato fin troppo ?
Forse così ci sarebbero le condizioni anche per italianizzare il debito. Goldman e altre grandi banche ci dicono che si sta aprendo il fronte dell’attacco al debito italiano. Un governo credibile potrebbe proporre al paese di ricomprare il debito nazionale nella misura massima possibile e questo aiuterebbe più del mitico fondo salva stati.

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