Politica, un degrado devastante. L’Italia vent’anni dopo

ROMA – 26 gennaio: sono trascorsi esattamente vent’anni. Era, infatti, il 26 gennaio 1994 quando Silvio Berlusconi fece mandare in onda il video-messaggio che avrebbe cambiato per sempre, e purtroppo nettamente in peggio, la politica italiana. Vent’anni.

La nostra generazione, all’epoca, andava all’asilo. Chi oggi aspira alla guida dei vari partiti o addirittura a Palazzo Chigi andava all’università.Vent’anni, due generazioni e il tempo per un lento e devastante degrado, prima culturale, poi morale, infine politico e civile, che ha sfibrato e sfigurato l’Italia.Vent’anni, e all’epoca uno dei pochi a metterci in guardia fu Indro Montanelli che Berlusconi lo conosceva bene, avendolo avuto come editore de “il Giornale” e comprendendone fino in fondo i vizi e i difetti.

 

Un viaggio nel dramma di due generazioni

Vent’anni, e siamo arrivati alla spaventosa inchiesta apparsa venerdì scorso su “L’Espresso”: un viaggio nel dramma di due generazioni, per l’appunto, quella dei padri e quella dei figli, che oggi condividono un destino di precarietà e solitudine, abbandono sociale e totale incertezza per il futuro. Vent’anni, e assistiamo oggi alla dissoluzione del sistema istituzionale, fra partiti impotenti e oramai, di fatto, sostituiti da comitati elettorali più o meno efficienti; segretari trasformati in leader assoluti, con potere di vita e di morte all’interno delle rispettive strutture; aule parlamentari pressoché esautorate delle proprie funzioni; intellettuali marginalizzati e spesso irrisi in nome della semplificazione e della necessità di “fare” anziché perdere tempo in inutili discussioni; un Presidente della Repubblica costretto a supplire alle innumerevoli carenze della classe politica, venendo così meno al proprio ruolo di garanzia e assumendo, in pratica, la funzione di governante aggiunto e governi debolissimi, assai più fragili di quelli della vituperata Prima Repubblica, benché eletti con una legge che più maggioritaria non si può, in nome della governabilità e del concetto di “democrazia decidente” che tanto affascina una classe dirigente mai così screditata e priva di qualunque affidabilità.

 

 

Il Paese reale con  le sue  tragedie, le sue difficoltà

E poi, come detto, c’è il Paese reale, con le sue tragedie, le sue difficoltà, una disoccupazione giovanile vicina al quarantacinque per cento, una disoccupazione complessiva a due cifre, lo spettro della deflazione che si somma alla spada di Damocle dello spread, della corruzione, dell’evasione fiscale, della giustizia lenta e dei mancati investimenti stranieri e che rischia di infliggere il colpo di grazia a un tessuto socio-economico oramai logoro, tenuto insieme solo da quel minimo di welfare familiare che ancora resiste nonostante la crisi e la deindustrializzazione di una Nazione che negli anni Ottanta era la quinta potenza industriale al mondo.

 

La crisi di una sinistra mai così divisa e litigiosa

Infine, c’è la mostruosa crisi che ha colpito la sinistra: mai così divisa, mai così litigiosa, mai così priva di un orizzonte e di un serio progetto da offrire al Paese, come se negli anni si fosse berlusconizzata, come se avesse assunto gli stessi toni, gli stessi modi, le stesse fattezze, lo stesso insopportabile parlar per slogan del Cavaliere, senza peraltro entrare mai nel merito delle questioni, la stessa prosopopea che a tratti sfocia nell’arroganza ed è alla base dell’imbarbarimento del dibattito pubblico e di un confronto politico mai come ora simile a un’arena. E il guaio è che, in parte, è così, perché i valori, gli ideali, i sogni, le proposte e tutto ciò che per decenni aveva differenziato la sinistra dalla destra sembra essere scomparso, dopo essersi assottigliato sempre di più fra errori, leggi mai varate (prima fra tutte quella sul conflitto d’interessi, finalmente riscoperta da Letta l’altra sera dalla Gruber), piccoli e grandi scandali, coalizioni rissose ed eterogenee, governi fragili e incapaci di imprimere all’Italia quella svolta radicale che intere generazioni attendono invano dal 1994.

Non è il bicameralismo perfetto la causa dei nostri mali

E qui il cerchio si chiude, con la crisi politica che si mescola a quella economica, a quella valoriale, all’idea assurda e pericolosissima che per venire incontro alle giuste richieste di onestà, efficienza e trasparenza dei cittadini basti semplificare, ridurre, tagliare, senza accorgersi che non è il bicameralismo perfetto la causa dei nostri mali bensì la mancanza di partiti seri e coerenti, radicati sul territorio e animati da un’ideologia chiara e riconoscibile agli occhi degli elettori e, in particolare, delle fasce sociali più deboli.

E ci scopriamo tutti più poveri, più soli, più cattivi, con qualche ruga in più e infinite disillusioni sulle spalle, con la folle certezza che peggio non possa andare, che nessuno sia in grado di far peggio di chi ha governato in questi due decenni: una certezza scritta sull’acqua che, tuttavia, ha indotto milioni di italiani a dar credito prima alla protesta anti-sistema di Grillo e oggi, delusa anche dall’ex comico, a caricare il povero Renzi di attese messianiche che nessun esponente politico, in nessuna epoca, meno che mai in questa, sarebbe in grado di soddisfare.

 

Un fiume di dolore e rabbia attraversa i nostri giorni

Ma tant’è, perché questo ventennio è un solco che ci ha scavato l’anima, un fiume di dolore e rabbia che ha attraversato i nostri giorni, la nostra crescita, la nostra mancata affermazione professionale e adesso la nostra decadenza, in una sorta di paesaggio márqueziano che spinge la maggior parte di noi a porsi delle domande cui sappiamo bene che non è possibile trovare risposta.

Vent’anni, tutto è svanito e quel video è ancora lì, davanti ai nostri occhi, ancora protagonista della scena politica nonostante nel mondo quasi nulla sia rimasto come allora, per il semplice motivo che tanti, troppi fra i suoi sedicenti avversari hanno preferito accantonare la “questione morale” di Enrico Berlinguer.

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