Disoccupazione, l’Italia piange, l’Olanda ride

ROMA – Il ministro Giuliano Poletti nonm è rimasto sorpreso dal record per la disoccupazione totale, 13%, e da quello dell’occupazione giovanile 42,3%, dice che l’aumento della disoccupazione è inevitavile e che la crisi “scaricherà ancora problemi opccupazionalei nel Paese”.

Che significa che può andare ancora peggio. Sconvolto è invece Matteo Renzi il quale dichiara che subito va fatta la riforma del lavoro e si dichiara certo che nei prossimi mesi la disoccupazione sarà ad una sola cifra. Parole a parte, i segnali che  che vengono dal governo, non incoraggiano l’ottimismo. La disoccupazione dipende dalla domanda e dal progresso tecnologico. Renzi può esser bravo e fortunato nel rilanciare un minimo di crescita, ma questa non avrà effetti sensibili sulla disoccupazione se non cambieranno le politiche del lavoro in salsa olandese, ma anche tedesca, austriaca, etc. cioè dei modelli più virtuosi. 

Il modello olandese del mercato del lavoro è quello di maggior successo. Basso tasso di disoccupazione, 6,7%, alto tasso di occupazione, 75%, Pil procapite del 28% superiore alla media UE27, orari di lavoro di 1.372 ore all’anno, inferiori di 400 ore all’Italia. L’Italia è a distanza siderale dall’Olanda. Con un tasso di occupazione record negativo del 55%, ci mancano 8 milioni di occupati per arrivare al modello olandese (20 punti in meno per 40 milioni di cittadini in età da lavoro), e poi un Pil procapite del 2% inferiore alla media UE27, orari di lavoro di 1778 ore all’anno, superiore a tutti gli altri paesi europei. Quali politiche hanno reso così distanti il miracolo olandese ed il disastro italiano? 

In Olanda hanno capito per tempo gli effetti che la globalizzazione e soprattutto la rivoluzione tecnologica avrebbero avuto sull’occupazione. Di conseguenza sindacati ed imprese stipularono l’accordo di Wassenaar del 1982, basato su tre elementi, a)moderazione salariale con aumenti dosati sulla produttività, b) riduzione delle ore di lavoro, c) misure attive per stimolare l’occupazione e la flessibilità, contratti di solidarietà, incentivi al part time, formazione continua.

In primo luogo è stata introdotta la settimana lavorativa di 36 ore e poi si è favorita la diffusione del part time volontario. Si pensi che oggi quasi la metà dei posti lavoro in Olanda è occupata dai lavoratori a tempo parziale, tanto che la famiglia tipica è formata da un lavoratore a tempo pieno e da uno a part time. L’80% dei lavoratori è a tempo indeterminato ed il lavoro flessibile riguarda quasi esclusivamente i giovani, in genere studenti, che uniscono studio e lavoro. La paga oraria di questi lavori è bassa in relazione al lavoro a tempo pieno ma la loro diffusione è stata facilitata da incentivi fiscali e contributivi senza un aggravio di bilancio pubblico in quanto il loro costo è stato compensato dai minori sussidi di disoccupazione. 

Cosa è successo invece in Italia? Si è percorso un cammino opposto, si sono incentivati gli straordinari invece di penalizzarli come in tutta Europa, a cominciare dalla Francia con la legge delle 35 ore, alla Germania con l’abolizione degli straordinari sostituiti con la banca delle ore e con i contratti di solidarietà ed il Kurzarbeit (lavoro corto), in Olanda con il part time.  

Oggi l’Italia è l’unico grande paese europeo dove l’ora di straordinario costa meno dell’ora ordinaria, dove la durata annua del lavoro è di quasi 1800 ore, contro 1500 di media europea, seconda solo a Grecia e Romania. 

L’Italia è anche il paese europeo dove, dalla metà degli anni settanta, il processo storico di riduzione degli orari, dimezzati da 3000 a 1600 ore/anno in un secolo, si è arrestato ed addirittura invertito, coi risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Renzi ha commentato amaramente il record negativo della disoccupazione totale e giovanile, ma purtroppo nessun  segnale culturale e politico ha dato in direzione di nuove politiche pro-occupazione. Si può anche essere bravi e fortunati nel rilanciare un minimo di crescita economica, ma questa, con tutta probabilità, sarà jobless, senza occupazione, come ha previsto anche l’ultimo rapporto del Bit, ufficio internazionale del lavoro Onu,  di Ginevra, se non si faranno politiche specifiche pro-occupazione.

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