DEF, molte perplessità e qualche speranza

Al netto dei suoi toni e dei suoi modi, lontani anni luce dalla nostra concezione della politica e delle istituzioni, dobbiamo ammettere che per una volta Matteo Renzi è stato bravo.

Gli 80 euro in più in busta paga per i redditi medio-bassi, infatti, sono una boccata d’ossigeno che il Paese attendeva da tempo, uno shock di cui si avvertiva fortemente il bisogno e una misura che ci auguriamo favorisca, almeno in parte, la ripresa dei consumi, con tutta la cascata di conseguenze positive che questo piccolo gesto innescherebbe. Ma è grave che gli incapienti , chi ha redditi, si fa per dire, sotto gli otto milioni, gli “ultimi”,siano rimasti tagliati  fuori  così come le partire Iva e i pensionati. Il taglio delle auto blu e dei super-stipendi dei manager, poi, non servono a molto dal punto di vista economico ma sono comunque un messaggio di sobrietà e vicinanza alla popolazione che, di questi tempi, pur essendo un cedimento a una certa vulgata populista, non ci sentiamo di condannare con particolare vigore. I mancati tagli alla sanità e alle pensioni, infine, sono un dovere morale e civile, visto che questi due settori sono già stati ampiamente usati come bancomat dai precedenti governi e che sono oramai allo stremo, con pensionati costretti a vivere con meno di mille euro al mese e ospedali in cui cominciano a mancare persino i macchinari indispensabili per garantire un’adeguata assistenza ai malati.

Peccato che le buone notizie siano poche

Peccato, però, che le buone notizie si fermino qui. Il Premier-comunicatore, difatti, è stato abilissimo nel presentare le sue mirabolanti promesse con una serie di tweet di rapida comprensione anche per la collettività ma non ha ancora ben spiegato dove intenda prendere i circa sette miliardi per porre in essere il suo programma. E, in particolare, pur volendogli credere, se non altro perché manca un mese alle Europee e su questo punto si gioca tutto, perché non è ancora ben chiaro in che misura le suddette coperture siano strutturali e in che misura siano, invece, una tantum.

Come ha affermato, ad esempio, il vicedirettore generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, in un’audizione sul DEF in Parlamento: “L’analisi delle stime tendenziali suggerisce che nel 2015 i risparmi di spesa indicati come valore massimo ottenibile dalla spending review non sarebbero sufficienti, da soli, a conseguire gli obiettivi programmatici, qualora dovessero finanziare lo sgravio dell’IRPEF, evitare l’aumento di entrate appena menzionato e dare anche copertura agli esborsi connessi con programmi esistenti non inclusi nella legislazione vigente”.

Le coperture non sembra siano affatto solide

Per non parlare poi delle perplessità espresse  da Scalfari su “la Repubblica”: “Purtroppo, però, le coperture non sembrano affatto solide. I 6-7 miliardi di euro che diventeranno 10 nel 2015, destinati al bonus in busta paga, dovrebbero essere coperti per 3 miliardi da tagli della “spending review”, per 1 miliardo dall’imposta sulle banche e per 2,6 miliardi dall’IVA proveniente dai pagamenti dei debiti alle aziende creditrici. Tuttavia l’imposta sulle banche è “una tantum” e quindi non si rinnova nel 2015; il taglio della “spending” non si sa ancora su quale capitolo sarà effettuato ed è quindi possibile che anche quello avvenga su una partita che si esaurisce a taglio effettuato senza rinnovarsi nell’anno successivo. Infine l’IVA riguarda pagamenti che saranno effettuati alla fine di quest’anno e sarà disponibile soltanto nel 2015; usarla a partire dal prossimo maggio significa anticiparla a carico del fabbisogno aumentando ulteriormente il rapporto del debito sovrano con il PIL. Ma non solo questo: il gettito dell’IVA pagato dalle aziende che riescono a incassare finalmente i loro crediti pregressi dell’amministrazione pubblica dovrebbe in pura teoria essere prodotto dalla liquidazione di debiti tra i 20 e i 30 miliardi; la mancata certificazione dei crediti ridurrà però con molta probabilità il monte dei pagamenti ad una cifra estremamente più bassa, non superiore secondo le previsioni ai 7 miliardi di euro e forse meno. Una cifra di quest’ammontare è ben lontana dal produrre un’IVA come quella necessaria per finanziare il taglio del cuneo fiscale”.

Ancora una volta la linea del rigore e della austerità

Infine le considerazioni di Stefano Fassina, il quale, pur guardando a sua volta con occhio benevolo agli 80 euro in più in busta paga, segnala che questo DEF è in netta continuità con la linea del rigore e dell’austerità imposta dai dogmi liberisti imperanti a Bruxelles, che non contiene delle serie misure anti-cicliche e che, sommato col progetto di riforma iper-liberista del mercato del lavoro, rischia di produrre un’ulteriore decremento del PIL e della domanda interna e, di conseguenza, un brusco innalzamento del debito pubblico, già oggi a livelli record.

Pertanto, mettiamola così: Matteo Renzi stavolta ha dimostrato buona volontà, ha attinto a piene mani dalle sue capacità dialettiche e ha regalato a un Paese stremato e disilluso una serie di carote che si augura gli tornino indietro sotto forma di altrettanti voti. Lo ha fatto perché sa che, se non raggiungesse almeno quota 30 e finisse con l’essere tallonato dal Movimento 5 Stelle, la sua carriera politica sarebbe seriamente a rischio e anche per regolare i conti interni con una minoranza che si preannuncia battagliera nei prossimi mesi su questioni cruciali quali la legge elettorale, la riforma del bicameralismo perfetto e l’elezione, secondo noi imminente, del nuovo Capo dello Stato.

Il rischio di una manovra correttiva in autunno

Le sue vere intenzioni, ovviamente, le svelerà da giugno in poi, quando verrà il momento delle bastonate e capiremo se abbiamo a che fare con un esponente di sinistra molto “sui generis” o con il volto presentabile di una destra che, nella sua veste ufficiale, sta diventando invotabile persino per chi le ha perdonato il voto su Ruby nipote di Mubarak.

Il vero auspicio, tuttavia, è che le mirabolanti promesse del “rottamatore” non si trovino a dover fare i conti, in autunno, con una manovra correttiva. Se ciò dovesse accadere, infatti, la sua popolarità crollerebbe nel giro di poche settimane, la legislatura potrebbe dirsi conclusa con il termine del semestre europeo e alle elezioni della prossima primavera saremmo costretti ad assistere ad uno scontro fra il populismo analogico di Berlusconi e quello digitale di Grillo. Uno scenario da “si salvi chi può”, nel quale l’unico a non salvarsi di sicuro sarebbe il Paese.

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