Ma in Italia esiste ancora la politica?

ROMA – Un referendum, quello sull’acqua pubblica, votato nel 2011 da ventisette milioni di cittadini, con una percentuale di SÌ superiore al 90 per cento, è stato appena messo pesantemente in discussione, per non dire cancellato, dalla scelta del Partito Democratico di dare, di fatto, il via alla possibilità di privatizzare i servizi idrici.

Due partiti, il PD e Forza Italia, che sulla carta dovrebbero essere avversari, in realtà non solo sono simili praticamente su tutto ma sono addirittura, sostanzialmente, uniti da un patto di desistenza nelle due principali città del Paese, in virtù di quello che Alessandro de Angelis ha definito malignamente, in un bel pezzo sull’Huffington Post, il “Nazareno della roba”, ossia, da quel che si capisce leggendo l’articolo, un accordo implicito fra Renzi e Berlusconi che prevederebbe la permanenza al potere del primo in cambio della tutela e della salvaguardia delle aziende del secondo. 

Scrive, infatti, De Angelis: “Il Biscione nell’era Renzi, sta conoscendo una seconda giovinezza. Una seconda giovinezza (la prima risale a quando Craxi schiaffeggiò il Parlamento pur di imporre la Legge Mammì) che val bene la sconfitta a Milano, con lo sconosciuto Stefano Parisi da contrapporre a Beppe Sala e a Roma, dove Berlusconi ormai, dopo la finzione delle gazebarie, su Guido Bertolaso non torna indietro”. E aggiunge: “In questo clima nessuno si stupisce che, sulle amministrative a Roma, dichiarino più che gli uomini di partito, gli uomini Mediaset come Giovanni Toti o il capogruppo al Senato Paolo Romani, uno per cui il Nazareno non è mai finito e, ogni volta che ha potuto, ha dato una mano al governo. O che Fedele Confalonieri non fa mistero, durante le cene o le chiacchierate negli ambienti milanesi che contano, di invitare a votare Giuseppe Sala e non Stefano Parisi. Gli osservatori di vicende politiche aziendali dicono che la storia di Mediaset può essere letta attraverso il pendolo di Foucault: quando va su Berlusconi (politica), va giù Confalonieri (azienda). Infatti quando il Cavaliere stava al governo e dal governo combatteva la sua battaglia contro i giudici, le aziende soffrivano. Ora è l’opposto”.

In poche parole, l’attuale esecutivo, che personalmente ho ribattezzato “Forza Italicum”, in considerazione del fatto che è sostenuto e apprezzato da tutti gli uomini chiave dell’ex Cavaliere (da Romani a Verdini, senza dimenticare Alfano, Bondi, Schifani e Cicchitto, in una sorta di “Dalemoni 2.0” riunito sotto un’unica insegna), l’attuale esecutivo, dicevamo, è considerato dai vertici di Cologno Monzese una mano santa per l’azienda, specie se si tiene conto del fatto che non ha mai nemmeno osato varare una seria legge sul conflitto d’interessi né, tanto meno, provato a rilanciare il servizio pubblico. Al contrario, come scrive ancora De Angelis parlando della passione di Renzi per gli elettori del centrodestra, “di questa “conquista” fa parte la tutela degli interessi di Mediaset di cui l’operazione sulla Rai è stata parte integrante. “Cambieremo la legge Gasparri” diceva Renzi da rottamatore. Da premier ne ha lasciato immutato l’impianto, non toccando il duopolio. Il che, per dirne una, ha consentito a una azienda non proprio in salute come Mediaset di non investire per diventare competitiva. Non solo. Il Biscione, la cui informazione è assetata su uno spartito filo-governativo, ha vissuto come una boccata d’ossigeno l’operazione Canone in bolletta. Perché in tal modo la tv pubblica dimagrisce sulla pubblicità, liberandola anche per altri, Mediaset in primis. Il meccanismo è semplice. Il canone Rai, la tassa finora più evasa d’Italia, sarà in bolletta, garantendo a giugno un incasso importante. Denari che verranno stornati dagli introiti pubblicitari di viale Mazzini. Qualche giorno fa, nel corso di un convegno all’istituto Bruno Leoni, il viceministro alle comunicazioni Giacomelli spiegava: “Se il gettito del canone fosse quello che il governo si aspetta e l’evasione si riducesse all’evasione fisiologica che esiste già nel pagamento dell’utenza elettrica, questo porterebbe a rivedere secondo un principio di proporzionalità le possibilità dei accesso al mercato pubblicitario? Io sono disponibile a parlarne, non è un tabù”. 

E pazienza se i lepenisti Meloni e Salvini si riuniscono in un cartello populista di destra-destra che può ambire a raggiungere anche il 20 per cento: pazienza, perché oltre sono destinati a non andare. Pertanto, Renzi può dormire sonni tranquilli e il Biscione pure, specie in vista di un possibile accordo fra Telecom e Mediaset che ancora De Angelis descrive in questi termini: “Telecom e Mediaset, partita francese in terra Italiana” il titolo delle pagine economiche di Repubblica, dove il destino dell’azienda appare più roseo di quello di Forza Italia descritto nelle pagine politiche. Più che una coincidenza, un disegno. Berlusconi offre il disarmo politico e ottiene la tutela degli interessi aziendali. Negli ultimi giorni si sono intensificati i contatti tra la famiglia Berlusconi e la famiglia Bolloré, azionista di riferimento di Vivendi e principale azionista di Telecom. L’ultimo incontro, secondo alcune indiscrezioni, è stato a Parigi proprio tra Bollorè e Pier Silvio. I quotidiani francesi per primi, ma non solo, hanno svelato che Vivendi sta trattando con Berlusconi per aggregare Canal Plus a Mediaset Premium nella pay tv. Voci, abboccamenti, per ora fonti ufficiali dicono che non c’è nulla di concreto. Ma l’operazione, cui si lavora, è chiara. E mira a creare un nuovo concorrente a livello mondiale del magnate delle televisioni Rupert Murdoch, che vedrebbe ridotte le sue quote di mercato. L’obiettivo è creare una realtà integrata, tra Vivendi, Mediaset, Telecom e Telefonica per diventare la media company numero uno nel Sud Europa. “Il matrimonio si farà, si farà” scommettono i parlamentari di area Mediaset”.

Scusate, e la politica? La politica non può e non deve esistere, in quanto se uscisse dal letargo potrebbe persino pensare di opporsi a questo disegno, magari annunciando, come fece l’incauto Enrico Letta ospite dalla Gruber, di voler porre fine all’anomalia italiana, varando finalmente una buona legge sul conflitto d’interessi.

La politica, per dire, che la si guardi da destra o da sinistra, sempre che si riconosca ancora l’esistenza di queste due categorie, potrebbe persino denunciare tutto questo e sostenere, in Parlamento e nel Paese, che non possiamo permetterci di assistere a un altro ventennio dominato da un partito-azienda.

La politica, inoltre, non lascerebbe i ragazzi del Movimento 5 Stelle a battersi da soli contro vergogne assolute come la privatizzazione dell’acqua pubblica o i continui favori fatti alle banche, su tutti la recente vicenda della pignorabilità della casa dopo sette rate (poi diventate diciotto, in seguito a una battaglia campale degli stellini) non pagate; senza dimenticare gli aspetti non ancora chiariti nella storia del rapporto fra papà Boschi e Banca Etruria, con tanto di consigli chiesti al faccendiere Flavio Carboni, e le continue umiliazioni cui viene sottoposto un Parlamento trasformato in un votificio e costretto a votare una fiducia dietro l’altra, senza mai potersi davvero esprimere.

La stessa politica, tuttavia, direbbe ai cari stellini di smetterla con quest’inutile Aventino duropurista, con questo insulso desiderio catartico e con quest’ostentata autarchia volta all’autosufficienza e di cominciare a collaborare con le compagini più affini alla propria visione del mondo, aprendosi a una sana logica di alleanze e a una dialettica democratica basata sul confronto e sul riconoscimento di quanto di buono c’è negli altri, senza la presunzione di essere gli unici santi scesi in Terra e mandati da Dio a vendicare i torti di una classe dirigente marcia (anche se in gran parte, purtroppo, lo è).

Sempre la politica, tanto per soffrire ancora un po’, suggerirebbe a Bersani e Speranza di smetterla di vivacchiare perdendo ogni giorno un po’ di credibilità e di puntare a ricostruire una sinistra riformista degna di questo nome: chiamiamolo Ulivo e rendiamoci conto che, come non ha mai avuto niente a che spartire con Forza Italia, ancor meno ha qualcosa ha che fare con Forza Italicum, o col Partito della Nazione che dir si voglia, diretta emanazione della creatura berlusconiana nonché suo aggiornamento in senso peggiorativo. 

Non solo: la politica, quella vera, eviterebbe che a intestarsi il coraggioso tentativo di ricostruire quanto meno una casa comune fossero i soli Fassina e Civati (peraltro divisi fra loro perché guai a rinunciare al demone del frazionismo che ha reso spesso la sinistra maggioritaria nel comune sentire delle persone ma, di fatto, minoritaria nella rappresentanza parlamentare e insopportabile agli occhi dei più), cui va comunque la nostra gratitudine per il fatto di averci provato. 

Infine, la politica combatterebbe a viso aperto contro la deriva fascioleghista che sta andando in scena a destra perché, anche se vista da sinistra, avrebbe piena coscienza della necessità che a confrontarsi siano partiti e coalizioni in grado di alternarsi alla guida del Paese, evitando la riproposizione di quel bloccone centrista, basato sulla gestione del potere per il potere e su un conservatorismo oggi privo di quell’afflato sociale che rese accettabile la Democrazia Cristiana anche a chi non l’avrebbe mai votata, che portò la stessa DC ad esaurire, a un certo punto, la propria spinta propulsiva, sprofondando nel gorgo del clientelismo, delle tangenti e dei rapporti oscuri con la mafia, i poteri forti e i servizi segreti, fino alla tragedia di Tangentopoli e alla sua ignominiosa scomparsa nel fango dell’inchiesta di Mani Pulite.

Questo farebbe oggi la politica, accantonando luoghi comuni, frasi fatte, formule magiche e qualsivoglia forma di populismo e mirando ricostruire una classe dirigente degna di questo nome, selezionandola e formandola all’insegna della cultura, della competenza e dello spirito critico.

Già, la politica: ma esiste ancora nel nostro Paese? E soprattutto: c’è ancora qualcuno, anche tra chi se ne occupa ogni giorno, che la vuole davvero o ci siamo tutti rassegnati al dominio di una tecnoburocrazia falsamente neutrale, autenticamente liberista, contraria agli interessi della maggior parte delle persone e senz’altro dannosa per l’intera comunità?

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