CR7 nel nome di Eusébio e Saramago

Pensi al Portogallo e ti viene in mente la grandezza dei suoi scrittori.

Pensi al Portogallo e il primo oggetto che ti si materializza davanti agli occhi è un romanzo di José Saramago. Pensi al Portogallo e ti vengono in mente gli studi storici in merito al drammatico periodo salzarista e alla felice Rivoluzione dei garofani del 25 aprile del ’74 che vi pose fine. Pensi al Portogallo e ricordi le mirabili descrizioni di Tabucchi, quando narra la storia di un anziano e disincantato giornalista che, ad un tratto, decide di compiere, per senso di giustizia, un atto di ribellione contro il regime dittatoriale imperante nel paese, raccontando la verità, senza fronzoli e senza infingimenti, circa l’assassinio di un oppositore politico. Pensi al Portogallo e hai dentro di te le scene di “Sostiene Pereira”, con l’ultimo Mastroianni nei panni dell’anziano giornalista che regala al suo fedele pubblico una recita di commiato degna della sua grandezza. 

E poi, solo in quel momento, pensi al Portogallo calcistico e ti viene in mente il Benfica di Eusébio e Coluna o la Nazionale che arrivò terza nel ’66, quando vinsero i sudditi di Sua Maestà ma la “pantera nera” del Mozambico deliziò le platee di tutto il mondo con la sua arte sotto forma di gioco del calcio, assicurandosi la classifica dei cannonieri con nove reti e dispensando meraviglia nel corso dell’intero torneo.

E poi ti torna in mente Euro 2000, quando scopristi, con l’ingenuità tipica di un bambino, la bellezza e l’importanza dell’Europa, proprio grazie a nazionali come quella lusitana: un ricamo, un arazzo, un quadro di Van Gogh, a metà fra genio e follia, grazie alla classe cristallina dei vari Figo (che quell’anno vinse il Pallone d’oro), Rui Costa, Nuno Gomes, Paulo Bento e altri alfieri di una squadra che avrebbe meritato ampiamente di trionfare assai prima di quando c’è riuscita.

Infine pensi a questa Nazionale, in cui, a parte il funambolo CR7, l’incostante Nani e l’eterno Quaresma, c’è poco altro da raccontare e ti domandi come abbia fatto a compiere l’impresa di battere una Francia che non è più la regale sinfonia di Zizou, Thuram, Henry e Trezeguet ma è comunque una compagine che può vantare al proprio interno talenti come Pogba, Evra, Sissoko, Payet, Giroud e altri ancora.

Metti insieme tutti questi dati, aggiungi la nota non secondaria dell’infortunio occorso al campione più rappresentativo nel momento decisivo del torneo e capisci che il calcio non è e non sarà mai una scienza esatta; anzi, contiene in sé quel guizzo di irriverenza, di pazzia, di insensatezza, di sovversione dei pronostici e di rottura degli schemi consolidati che lo rendono, nonostante tutto, una passione collettiva e senza tempo.

Perché il Portogallo che ha battuto la Francia a Saint-Denis, grazie alla rete nel secondo tempo supplementare di uno sconosciuto che gioca nel Lille, il cui nome, Éder, fino a stasera ci era onestamente ignoto, questo Portogallo ce l’ha fatta in quanto, per la prima volta nella sua storia, quando si trattava di andare a vincere, ha smesso di gigioneggiare e di specchiarsi nella propria bellezza, si è rimboccato le maniche e ha gettato il cuore oltre l’ostacolo.

E non è vero che CR7 non c’è stato, anzi: ieri sera anche noi messiani convinti ci siamo dovuti inchinare dinanzi al carisma di un capitano autentico, di un uomo coraggioso e battagliero, di un condottiero che si è rivelato il vero allenatore della sua squadra e ha saputo incitarla e sostenerla fino alla fine, non facendole mancare il proprio sostegno anche fuori dal campo, asciugandosi le lacrime e piangendo infine di gioia per una soddisfazione immensa e senza precedenti.

Lui, CR7 da Madeira, lui che ha vinto tutto con il Real, lui che guadagna cifre stratosferiche, lui che non ha più nulla da chiedere a una carriera che quest’anno, con ogni probabilità, gli regalerà il quarto Pallone d’oro, lui ieri sera ha dimostrato di valere innanzitutto come persona, il che lo fa uscire dalle copertine patinate e lo introduce nella ristretta categoria di persone in grado di sopravvivere e andare oltre il proprio mito.

Lui che ieri sera è stato sincero, con quelle smorfie di dolore, quelle lacrime lungo il viso e quella furia agonistica a bordo campo, lui ieri sera ha vinto molto più di una partita o di un Europeo: si è conquistato, infatti, il rispetto di chi finora l’aveva considerato, erroneamente, un eroe di plastica, buono al massimo per dispensare giocate in giro per il mondo ma incapace di affrontare la vita.

E invece no, ci eravamo sbagliati e ce lo ha dimostrato con schiettezza, soffrendo e cedendo, sia pur involontariamente, il passo a un gregario nel momento decisivo, quando conta, per l’appunto, essere uomini prima ancora che fuoriclasse. E lui lo è stato, nel nome di Eusébio e Saramago, i quali da lassù, abbracciati, staranno sorridendo, raccontandosi la favola antica e sempre bella dei sogni impossibili che diventano realtà.

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