Storia: Cinquant’anni fa l’offensiva del Tet

Nel gennaio del 1968 con l’attacco comunista al sud gli Usa capirono che la guerra in Vietnam non poteva essere vinta. “Il Vietnam è ancora dentro di noi. Ha creato dei dubbi sulla capacità di giudizio degli americani, sulla credibilità americana, sulla potenza americana, non soltanto in patria ma in tutto il mondo. Ha avvelenato il nostro dibattito politico interno. Abbiamo quindi pagato un prezzo esorbitante per decisioni che vennero prese in buona fede e per buoni fini”.

(Henry Kissinger, ex segretario di Stato Usa)

“Sì, abbiamo sconfitto gli Stati Uniti. Ma adesso siamo perseguitati da molti problemi. Non abbiamo da mangiare. Siamo un Paese povero, sottosviluppato. Fare una guerra è facile, ma governare è difficile”.

(Pham Van Dong, ex premier vietnamita)

Una ferita non rimarginata

Cinquant’anni fa con l’inaspettata offensiva comunista nel Vietnam del Sud, il Pentagono, l’amministrazione Johnson e la società americana capirono improvvisamente che quella guerra non poteva essere vinta. Alla fine di questo attacco generale, le forze del Nord e dei Vietcong pur sconfitte sul piano militare dai soldati americani fecero crollare ogni ottimistico esito del conflitto che avrebbe creato una grave frattura nel profondo della società statunitense. L’opinione pubblica della più grande superpotenza della terra si interrogò a lungo sulle conseguenze della tragica esperienza della guerra in Vietnam. Prima di questo lungo e doloroso conflitto i soldati Usa erano stati sempre visti come degli eroi, come dei salvatori che andavano a liberare popoli e nazioni dai totalitarismi. Anche a Hollywood i ‘war movie’ erano saturi di propaganda, eroismo, mentre la morte era spesso messa in secondo piano. Con la guerra nel Sud Est asiatico gli Stati Uniti furono costretti per la prima volta a combattere secondo le regole di un nemico invisibile, ben addestrato e capace di sopportare qualsiasi tipo di sofferenza pur di vincere. La tragedia americana in Vietnam pose fine all’immagine positiva degli Usa nel mondo: giovani alti, biondi e sorridenti che scorrazzavano nelle highway con le loro grandi auto. Quella guerra mise a nudo l’incapacità di varie amministrazioni nel contenere l’espansionismo sovietico in quella regione del mondo. Le amministrazioni Johnson e Nixon, quelle più compromesse con gli orrori in Indocina non seppero evitare uno dei momenti più drammatici della recente storia americana. Dopo decenni di benessere economico, la supremazia economica e militare senza eguali nel mondo, gli Usa non si resero conto degli errori che commisero pian piano con l’impegno politico e militare in quel piccolo Paese della penisola indocinese.  Le conseguenze furono di non poco conto. Sia a livello economico e soprattutto a livello di coesione sociale. La società americana, impreparata psicologicamente alla sconfitta, impiegò molti anni per “digerire”, un simile smacco internazionale. Quella guerra di logoramento segnò profondamente l’inconscio degli americani.

Il Tet: una sconfitta militare diventata vittoria

Nel gennaio del 1968 i soldati americani erano impegnati direttamente in Vietnam da oltre tre anni. L’escalation militare voluta dal presidente Johnson aveva portato la presenza di circa 500mila soldati statunitensi in Indocina. I primi tremila marines erano sbarcati trionfalmente l’8 marzo del 1965, ma gli Usa si erano lentamente impantanati in quel Paese da più di cinque anni con l’amministrazione Kennedy. L’iniziale ottimismo si trasformò presto in una evidente frustrazione del presidente Johnson e delle alte sfere militari compreso il generale William Westmoreland (capo del contigente Usa in Vietnam) e di Robert McNamara (Ministro della Difesa). I massicci e devastanti bombardamenti aerei americani con l’operazione “Rolling Thunder”, non diedero risultati soddisfacenti. La tempesta di bombe fece l’effetto contrario: il Vietnam del Nord resistette e tenne duro, diventando sempre più aggressivo e pericoloso. Alla fine del gennaio del 1968, approfittando delle feste del Capodanno cinese, le truppe del Vietnam del Nord e dei Vietcong attaccarono di sorpresa e in massa tutte le principali città del Vietnam del Sud. Questa improvvisa offensiva su larga scala colse completamente di sorpresa i servizi di informazione delle forze armate americane. Per la prima volta i soldati Usa furono costretti a combattere per le strade di Saigon. Fu addirittura assalta l’ambasciata americana. L’imbarazzo fu enorme in tutti gli Stati Uniti e nei paesi occidentali. Il 31 gennaio circa 70 mila soldati comunisti scatenarono un’offensiva generale per rovesciare il governo filoamericano di Saigon. Dopo i primi giorni di violenti combattimenti in cui soprattutto le truppe sudvietnamite rischiarono più volte di essere travolte la reazione americana fu altrettanto massiccia. Quando l’offensiva cessò alla fine di marzo del 1968, ovvero quando tutti i centri abitati nel sud furono faticosamente riconquistati dai soldati americani le perdite furono significative. Nei sanguinosi scontri a fuoco dal 31 gennaio al 28 marzo gli Usa persero 1.100 militari mentre gli alleati del Vietnam del Sud circa 3mila. I feriti furono poco più di 15mila. Per l’esercito comunista l’offensiva del Tet fu un duro colpo: circa 35mila soldati uccisi, quasi 50mila feriti più cinquemila prigionieri. L’evidente sconfitta militare delle forze comuniste fu invece completamente ribaltata dall’aspetto psicologico e politico. Con l’offensiva del Tet gli Stati Uniti si resero conto che le proprie truppe nel Vietnam del Sud erano vulnerabili e che soprattutto a livello politico e strategico non avrebbero mai vinto la guerra in tempi sufficientemente brevi.

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