PFAS nei pesci, lo studio che lancia l’allarme sui rischi

La contaminazione da PFAS nei pesci marini destinati al consumo umano rappresenta una minaccia crescente per la salute pubblica globale.

A evidenziarlo è un nuovo studio internazionale, pubblicato sulla rivista Science, che mette in relazione la presenza di sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche nei pesci più consumati al mondo con potenziali rischi per la sicurezza alimentare, anche in Paesi caratterizzati da bassi livelli di inquinamento ambientale.

La ricerca nasce dalla collaborazione tra la City University di Hong Kong (CityUHK) e un gruppo internazionale di studiosi guidato da Qiu Wenhui e Zheng Chunmiao della Southern University of Science and Technology, con il contributo di Kenneth Leung Mei-yee, direttore del Laboratorio Statale di Salute Ambientale Marina della CityUHK.

PFAS: cosa sono e perché preoccupano

I PFAS sono sostanze chimiche di origine industriale utilizzate da decenni in numerosi prodotti di uso quotidiano, come pentole antiaderenti, tessuti impermeabili, imballaggi alimentari e schiume antincendio. La loro caratteristica principale è l’elevatissima stabilità chimica: non si degradano facilmente nell’ambiente e possono persistere per anni nelle acque, nel suolo e negli organismi viventi.

Proprio questa resistenza rende i PFAS particolarmente pericolosi. Una volta entrati negli ecosistemi marini, tendono ad accumularsi nei pesci e a concentrarsi lungo la catena alimentare, fino a raggiungere l’uomo attraverso il consumo di alimenti contaminati. Numerosi studi scientifici associano l’esposizione prolungata ai PFAS a effetti negativi sulla salute, tra cui disturbi endocrini, problemi al sistema immunitario e aumento del rischio di alcune patologie croniche.

Pesci marini e contaminazione globale

Per valutare l’estensione del fenomeno, il team di ricerca ha analizzato dati di monitoraggio delle acque marine raccolti in 3.126 località in tutto il mondo nell’arco di 20 anni. Utilizzando modelli di rete alimentare marina, gli studiosi hanno stimato le concentrazioni di PFAS in 212 specie di pesci marini commestibili.

I risultati mostrano una chiara correlazione tra la contaminazione da PFAS, la storia dell’inquinamento delle diverse aree marine e la loro capacità di diluizione.

Le concentrazioni più elevate sono state riscontrate nei pesci predatori situati ai livelli più alti della catena trofica, come tonno, pesce spada e salmone.

Tra il 2010 e il 2021, la concentrazione mediana globale di C8-PFAS – che include composti come PFOA e PFOS – è stata pari a 0,34 ng/g di peso umido. In Asia, il valore mediano ha raggiunto 1,03 ng/g, mentre livelli particolarmente elevati sono stati rilevati in alcune specie provenienti dall’Arabia Saudita e dalla Thailandia, con concentrazioni rispettivamente di 11,72 e 6,06 ng/g.

Commercio ittico e “trasferimento” del rischio

Un aspetto centrale dello studio riguarda il ruolo del commercio internazionale del pesce. Analizzando i dati di pesca, importazione e consumo di 33 Paesi, i ricercatori hanno stimato l’assunzione giornaliera di PFAS legata al consumo di diverse specie ittiche.

È emerso che molte specie considerate ad alto rischio di contaminazione – tra cui merluzzo, aringa, spigola, salmone, tonno e pesce spada – provengono principalmente dall’Europa e vengono esportate verso altri mercati. Questo comporta un vero e proprio “trasferimento transfrontaliero” dell’esposizione ai PFAS: anche i consumatori che vivono in aree marine relativamente poco inquinate possono assumere quantità significative di queste sostanze attraverso il pesce importato.

Il caso italiano

I dati relativi all’Italia sono emblematici. Solo l’11,71% del pesce consumato nel Paese viene importato dalla Svezia, ma questa quota è responsabile del 35,82% dell’assunzione totale di C8-PFAS nella popolazione italiana.

Al contrario, il pescato nazionale rappresenta il 28,02% del consumo complessivo, ma contribuisce solo per il 5,23% all’esposizione a questi composti. Andamenti simili sono stati osservati anche nel Regno Unito e in Colombia.

Sicurezza alimentare e monitoraggio ambientale

Lo studio sottolinea la necessità di rafforzare il monitoraggio ambientale e i controlli lungo l’intera filiera ittica, dal mare alla tavola. La contaminazione da PFAS non è più un problema confinato alle aree industriali, ma una questione globale che coinvolge salute pubblica, sicurezza alimentare e commercio internazionale.

Secondo i ricercatori, una maggiore consapevolezza sui rischi legati ai PFAS e politiche più stringenti sulla qualità delle acque e degli alimenti sono fondamentali per ridurre l’esposizione della popolazione e tutelare i consumatori. In un mondo sempre più interconnesso, la qualità dell’ambiente marino diventa infatti un elemento chiave per la salute di tutti.

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