Virdis: l’umiltà della Sardegna che ce l’ha fatta

È stato, per circa vent’anni, l’orgoglio della Sardegna e ora che compie sessant’anni si fa davvero fatica ad immaginare Pietro Paolo Virdis seduto dietro il bancone della sua enoteca di qualità in quel di Milano.

Eppure, l’attaccante della Juve trapattoniana e del Milan di Sacchi, il campione che ha giocato con gli eroi del Mundial e con gli olandesi volanti, emuli dei fuoriclasse orange del decennio precedente con l’aggiunta di un Europeo vinto nell’88, questo mite puntero sardo oggi è un uomo felice e rilassato, all’apice della vita e convinto di aver trovato il modo di mettere a frutto i guadagni e le opportunità che la carriera calcistica gli ha offerto. 

È un uomo sereno, dunque, e ne siamo davvero contenti, specie se pensiamo al fatto che i suoi due decenni trascorsi ad inseguire un pallone sui campi di tutta Italia e di mezzo mondo non sono stati caratterizzati unicamente dai trionfi e dalle soddisfazioni, che pure non gli sono certo mancate, bensì anche da tante amarezze e sofferenze, in quanto il tamburino Virdis era considerato sì un ottimo giocatore ma, oggettivamente, non ai livelli di assi come Platini, Zico e Van Basten. 

Tuttavia, nessuno può negare che senza l’apporto di questo umile lavoratore dell’area di rigore, con il guizzo di un falco e l’istinto di un killer, né la corazzata bianconera del Trap né quella rossonera del Vate di Fusignano sarebbero riuscite a compiere le imprese che, invece, hanno compiuto, regalando ai propri tifosi un oceano di gioia e una sensazione tangibile di invincibilità. 

Mortale fra gli immortali, umano fra i marziani, meridionale nel ricco Nord degli affari e dell’efficienza elevata a virtù, il combattivo tamburino sardo non si è perso d’animo, allenandosi con costanza, facendosi trovare sempre pronto, mettendo a segno un discreto numero di reti e integrandosi alla perfezione pressoché ovunque, cosciente dei propri limiti ma anche del fatto che, al di là degli squadroni in cui ha giocato, sarebbe stato titolare in qualunque altra compagine di Serie A. 

E oggi che si occupa di vini e di grappe, oggi che alla grinta del giocatore si è sostituita la raffinatezza del sommelier, oggi che la sua tenacia ha assunto un’aura quasi letteraria, il piccolo Pietro Paolo, diventato uomo, si è reso conto di aver raggiunto un traguardo essenziale: quello di potersi sentire in pace con se stesso. 

E sorride, giustamente, ripensando a sei decenni nei quali nessuna tempesta è riuscita ad abbatterlo: né in campo né fuori. 

Perché lui, Virdis da Sassari, dopo sessant’anni e una messe gol realizzati in Serie A, possiede ancora la furia e l’entusiasmo di un ragazzo, al pari di un gusto per la vita e di una curiosità per il prossimo che ne rendono speciale ogni singolo giorno. Capita solo ai grandi e lui grande lo è davvero.

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