Carnera: idolo di un’Italia ingenua

Era un figlio della fame e della guerra, di tempi in cui un povero cristo nelle sue condizioni familiari faceva fatica persino a mettere insieme il pranzo con la cena. Aveva unicamente la forza a sua disposizione, una stazza fisica imponente e dei colpi devastanti che ne fecero prima un’attrattiva da circo e poi un dominatore del ring sulle due sponde dell’Atlantico.  

Primo Carnera fu l’idolo di un’Italia ingenua e convintamente fascista, un’icona involontaria del regime, un esempio di virilità e virtù italiche da esibire per fini propagandistici e un fuoriclasse sfruttato da tutti, a cominciare dai manager, approfittando della sua bonaria ingenuità e del suo essere, sostanzialmente, un mero animale da combattimento, senza la dimensione epica che trent’anni dopo avrebbe avuto, ad esempio, Muhammad Ali.

Visse a lungo negli Stati Uniti, negli anni del proibizionismo e della mafia italo-americana che la faceva da padrona, vinse molto e perse quando ormai non ce la faceva più e nuovi miti si stavano affacciando sulla scena. Finì nel catch, ingloriosamente, riducendosi ad essere nuovamente una sorta di attrattiva da circo, prima che la cirrosi epatica lo divorasse, ponendo fine alla sua vita a soli sessant’anni, il 29 giugno 1967.

Per morire, dopo un lungo pellegrinaggio e una fama ormai giunta all’apice, sia in Italia che all’estero, scelse di tornare a Sequals, nel suo Friuli, là dove era iniziata la sua avventura, in quella terra aspra e selvaggia che aveva forgiato il suo carattere e dato vigore alla sua esplosiva prestanza atletica. 

Cinquant’anni dopo ci resta la memoria, il fascino, la grandezza e il tormento di un bambinone mai davvero cresciuto, di cui molti si servirono a piacimento e che solo dopo la morte si è visto riconoscere fino in fondo il proprio talento e le proprie qualità umane.

Condividi sui social

Articoli correlati