Era stato chiamato da Fiorentino Pérez come mossa della disperazione, dopo che il Real di Benítez era stato, di fatto, surclassato dal Barcellona in un “Clásico” terminato 4 a 0 a favore dei catalani, sotto gli occhi di un Bernabéu attonito e furioso.
Si pensava a lui come a un traghettatore, a un tecnico di transizione in grado di concludere dignitosamente la stagione per poi tornarsi ad occupare del vivaio madridista e lasciare spazio ad un dominus della panchina ben più esperto e graduato.
E invece Zinedine Zidane, grazie anche all’ottima scuola ancelottiana, in pochi mesi è riuscito in un’impresa che va ben al di là del singolo aspetto sportivo, restituendo alle tante primedonne di uno spogliatoio fra i più difficili al mondo il senso d’appartenenza alla squadra e la convinzione di essere una comunità.
E così, in sei mesi, il Real Zizou si è imposto in Champions contro i cugini dell’Atletico, rinverdendo i fasti del suo mentore e del mai dimenticato del Bosque e riportando alla mente dei tifosi la meraviglia dello squadrone di cui lo stesso Zizou era stato una delle colonne.
Da quel momento in poi, è come se Zidane avesse sfregato la lampada di Aladino, in un crescendo rossiniano di risultati, bel gioco, giovani di straordinario talento lanciati e valorizzati e un’armonia e un equilibrio fra i vari reparti che nessun ostacolo sembra essere in grado di minare o anche solo di scalfire.
Il merito di Zidane, in poche parole, è stato quello di trasformare un insieme di grandiose individualità in un corpo compatto, affamato di vittorie e desideroso di lottare insieme, di battersi l’uno per l’altro, di trionfare da squadra e di non fermarsi più. E lo stesso Zizou, un tempo introverso e non restio, come purtroppo sappiamo, a colpi di testa che non fanno onore alla sua classe e alla sua grandezza, si è trasformato, alla guida del Real, in una sorta di fratello maggiore, in grado di instaurare con i suoi ragazzi un rapporto addirittura migliore di quello che Mourinho (lo sconfitto della Supercoppa di ieri) è riuscito negli anni a creare con i suoi fedelissimi.
Zidane e la “Casa Blanca” hanno raggiunto, in pratica, un livello di simbiosi pressoché totale, difficile persino da descrivere a parole, incredibile per i risultati che sta producendo ma, soprattutto, per ciò che sta costruendo anche in prospettiva, attraverso la crescita esponenziale di ragazzi destinati a egemonizzare il prossimo decennio.
Zizou come maestro e guida ferma e solida, Cristiano Ronaldo come campione assoluto, Sergio Ramos come capitano e gli altri fuoriclasse a tessere una tela ai limiti della perfezione. Un Real in grado di trionfare e divertire, capace di coniugare il gioco raffinatissimo del Barcellona con le verticalizzazioni da sempre care al suo condottiero; un Real che ieri sera, a Skopje, ha sublimato la propria arte battendo 2 a 1 il Manchester United e confermandosi sul tetto d’Europa, oltretutto ricorrendo ai superpoteri di CR7 a malapena per una decina di minuti.
Un Real che, al momento, può tutto e nel quale non si riesce proprio a capire chi siano i titolari e quali le riserve.
Quando arrivò Zizou, nel gennaio del 2016, il dominio blaugrana sembrava destinato a durare per l’eternità; un anno e mezzo dopo, le gerarchie, in Spagna e in Europa, sembrano essersi ribaltate. Ci attende, pertanto, una stagione intensa, un duello appassionante e la certezza che questo Madrid sia destinato ad aggiungere altre pagine gloriose alla propria già leggendaria epopea.