Gonzalo Higuaín: trent’anni all’insegna del gol

E sono trenta, messer Gonzalo Higuaín: trent’anni di gol e di imprese, di passioni e di speranze, di emozioni suscitate e di entusiasmi dirompenti generati presso ogni platea che abbia avuto l’onore di vederlo danzare in area di rigore.

E sì, ho usato il verbo danzare e lo rivendicò con orgoglio, in quanto “el Pipita” non è il classico panzer buttadentro, colui che risolve le partite in maniera arida, senza concedere nulla allo spettacolo, alla bellezza e all’armonia del gioco; egli è un concentrato di tecnica latina e tattica europea, potenza di fuoco e giocate sublimi, assai più partecipe all’azione della squadra di quanto non lo fosse, per dire, un Trezeguet, un fuoriclasse moderno e in grado di interpretare il proprio ruolo come pochi altri punteri sparsi per il Vecchio Continente. 

Di attaccanti ai livelli di Higuaín, non a caso, me ne vengono in mente soltanto tre: Suárez, Cristiano Ronaldo e Lewandowski, considerando che Messi e Neymar jr. non sono vere punte ma ali o falsi nueve, che Cavani è sì fortissimo ma leggermente inferiore al bomber argentino, che Icardi non è nemmeno paragonabile e che il giovane Mbappé è ancora troppo acerbo per essere definito l’erede di Henry, benché certo la classe e il talento non gli manchino.

Higuaín, soffiato al Napoli da Marotta con un’operazione ai limiti del genio, patisce non poco il fatto di non essere ancora riuscito a trascinare la Juve sul tetto d’Europa, di non aver ancora ricevuto una piena consacrazione e di non essere ancora riuscito ad incidere in maniera decisiva in ambito internazionale; fatto sta che, da quando gioca al centro dell’attacco bianconero, l’impressione è che sia nettamente migliorato: sia per quanto concerne la disciplina sia per quanto riguarda lo spirito di sacrificio, la dedizione alla causa e il rapporto con i compagni, essendosi trasformato in una bocca di fuoco assai meno individualista e con meno pretese da primadonna.

Un campione educato, dunque, mondato dagli eccessi tipici di Napoli e dal divismo proprio di Madrid e ormai stimato pressoché ovunque, nonostante un altro dei suoi talloni d’Achille sia rappresentato proprio da quella Nazionale argentina dove Sampaoli si ostina inspiegabilmente a preferirgli Icardi e dove la sua grandezza viene spesso oscurata dal magistero di Messi e Dybala, benché entrambi con la maglia albiceleste riescano a rendere meno che nei rispettivi club. 

Con l’andare del tempo, inoltre, “el Pipita” ha iniziato a coltivare la virtù della pazienza, divenendo più utile ed incisivo e lasciandosi alle spalle certe ingenuità giovanili che ancora a Napoli lo zavorravano, mettendone talvolta in evidenza l’ingenuità e la mancanza di un’adeguata caratura internazionale. 

Ciò non toglie che anche sotto il Vesuvio messer Gonzalo sia stato decisivo e che senza quell’esperienza oggi non sarebbe il campione che è, quindi sia lode a Sarri e ad un ambiente che lo ha saputo valorizzare, aspettare e infine lanciare nell’Olimpo dei semi-dei. 

Per essere un dio del calcio gli mancano ancora almeno una Champions e il Mondiale, ma siamo fermamente convinti che il nostro, quest’anno, non voglia lasciarsi sfuggire entrambe le occasioni.

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