L’arte tra muri e musei

La Galleria Rezarte di Reggio Emilia si macchia, il 28 settembre, dei colori degli artisti reggiani più illustri per festeggiare il suo primo anno di attività.

Come scrive il curatore, Alberto Agazzani: “la mostra intende rileggere, documentare e valorizzare un ricco ed appassionante (mezzo) secolo di pitture e pittori” Pittori della seconda metà del novecento, espressionisti, come Marisa Bonazzi, Bruno Olivi e Carlo Calzolari, che usano quindi il colore, disteso a macchie o a figure geometriche che ricordano vagamente oggetti comuni o con pennellate decise, per esprimere emozioni, sentimenti e la personale visione della vita e del mondo con il loro senso sfuggevole. Artisti maturati in un contesto che vede Reggio Emilia come una delle capitali culturali d’Italia. Agli inizi degli anni sessanta infatti, la città ospita il “Gruppo 63” e personaggi come Umberto Eco, Angelo Guglielmi, Renato Barilli, Furio Colombo, Nanni Balestrini e molti altri ancora. Una rivoluzione culturale permessa dall’apertura e il dinamismo dell’allora sindaco Renzo Bonazzi. 

La sala è piena. Tutti ascoltano il curatore, descrivere e spiegare con passione i dipinti. Si scorge anche qualche giovane e la cosa mi stupisce. Del resto si sa, oggi, giovani e arte non vanno d’accordo. Ma perchè?

L’arte presentata dalla galleria è il frutto di una tradizione, di una scuola pittorica tipicamente reggiana e di un clima culturale particolarmente favorevole. Gli artisti erano liberi di esprimersi e questa libertà è stata la chiave dell’accettazione e l’apprezzamento generale di quest’arte. Certamente non è la filosofia del “bello”, il quanto piace esteticamente, che fa grande una tradizione artistica, ma gli ideali e l’ambiente culturale nella quale cresce e dev’essere accettata. 

Quando a Umberto Eco in un’intervista hanno chiesto se fosse possibile oggi ripetere l’esperienza del Gruppo 63 la sua risposta è stata: “Mi pare difficile. È cambiato il clima.” 

Credo che questo sia il problema principale che non permette alla maggior parte dei giovani di legarsi all’arte, in qualsiasi forma si voglia. Oggi il clima non è più lo stesso. Banalmente, nessuno consiglierebbe di prendere una laurea in filosofia, in lettere o in architettura, meglio in agraria o ingegneria, così si trova lavoro. 

I giovani hanno sviluppato però una propria forma d’arte, una maniera personale di esprimere emozioni e sentimenti. Proprio come fanno i veri espressionisti. La “street art” o i graffiti, che per molti non sono altro che vandalismo, in realtà rappresentano una nuova forma d’arte. Il principio infatti rimane essenzialmente lo stesso, usare il colore e le linee per esprimersi. Quello che cambia è l’accettazione da parte della società. 

Probabilmente se un graffito fosse messo in un museo allora i critici ne parlerebbero citando scuole pittoriche. Quest’arte si trova sui muri e viene allontanata, ripudiata e denigrata. La realizzazione dei graffiti più grandi e complicati richiede diverse ore di lavoro, alle quali vanno aggiunte le ore spese per le bozze su carta, e quindi pazienza e precisione, considerando che la bomboletta è uno strumento più difficile da maneggiare di un pennello. Talvolta può capitare che la situazione richieda una velocità d’esecuzione elevata, mantenendo però lo stesso livello di qualità. Spesso in questo mondo “underground” i “writers” si sfidano a chi fa il lavoro più bello o più veloce o a chi riesce a farlo nel punto più in vista della città, motivo che rende i treni una grande attrazione visto che portano la firma dell’artista in giro per tutta la città. Velocità, precisione, pazienza ed espressione hanno segnato tutta la storia dell’arte. Non è un caso che in questi giorni i sindaci italiani si siano divisi in “tolleranti” e “repressivi”. I sindaci repressivi agiscono contro la libertà di espressione e considerano i giovani pittori degli imbrattatori e plaudono alle condanne dei giudici. I sindaci tolleranti, invece, assumono – proprio come fece Renzo Bonazzi a Reggio Emilia con il Gruppo 63 – la street art come arte da esaltare. Si innalza su tutti il sindaco di Torino, Piero Fassino, che ha lanciato nel capoluogo piemontese il Picturin Mural Art Festival. Prevedo che  a Torino giungeranno migliaia di giovani e auspico che analoga inizativa venga presa da molti altri sindaci.

L’arte espressa dai giovani è ancora un mondo nascosto che a molti sembra ostile. Spero, insieme alla mia generazione, nell’avvento di un nuovo cambiamento, di una rivoluzione, nel senso etimologico della parola, un ritorno. Tornare cioè ad avere un clima culturale favorevole e aperto, che permetta all’arte, in tutte le sue forme e ai giovani che se ne fanno portatori, di esprimersi liberamente e di essere accettata socialmente. Allora aspettando questa rivoluzione, ricordo le parole di un grandissimo artista, Paul Gauguin, “l’arte è rivoluzione”. 

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