Omsa licenzia. Facebook boicotta l’azienda

FAENZA – Era arrivata il 27 dicembre scorso, nel bel mezzo della trattativa sindacale, la lettera recapitata a mezzo raccomandata in cui l’azienda Omsa di Faenza dichiarava “l’intenzione di procedere con la risoluzione dei rapporti di lavoro” al termine della cassa integrazione straordinaria prevista fino al 14 marzo 2012 prossimo.

Un modo veloce insomma per  liquidare 239 persone, per lo più donne tra i 40 e i 50 anni,  contravvenendo a tutti quegli impegni assunti, anche formalmente dall’azienda in sede istituzionale e sindacale,  per cui l’attività dello stabilimento sarebbe stata interrotta solo nel caso di una riconversione certa dello stesso e, quindi, della continuità produttiva.

 

Le segreterie di Cgil, Cisl e Uil avevano subito bollato l’atto unilaterale dell’azienda come “provocatorio e arrogante”, foriero di “una reazione compatta di tutti i soggetti che si sono mobilitati contro questa tragedia di disimpegno irresponsabile da parte del gruppo” mantovano. La Omsa – entrata in Golden Lady Company nel 1992 – impiega a Faenza 239 dipendenti, parte dei 3.500 dislocati in 11 stabilimenti produttivi in Europa, oltre all’americana Kayser Roth Corporation forte di 4 stabilimenti produttivi e 1.500 dipendenti.

 

Ora a far piovere critiche sulla società guidata da Nerino Grassi è però il popolo del web, con un evento pubblico su Facebook, in programma il 31 gennaio dalle 19 alle 22 e intitolato ‘Mai più Omsa’. Attiva da un paio di giorni, la pagina creata da Massimo Malerba – che rilancia il ‘Mai più Omsa’ anche su ‘Il Post viola’, blog ufficiale del Popolo Viola – ha già raccolto 20.016 partecipanti al ‘boicottaggio’ (ma il ritmo di crescita è rapidissimo: più di dieci al minuto) mentre gli incerti superano i 1.300 e gli invitati sfondano il tetto dei 222.400: chiunque clicchi su Facebook il bottone ‘parteciperò’, infatti, si impegna a non acquistare prodotti Omsa e Golden Lady e a invitare amici e parenti a fare altrettanto, oltre a invitare almeno 10 amici a quest’evento.

 

Si legge sulla pagina sul social network: “La decisione di chiudere lo stabilimento di Faenza per riaprirlo in Serbia non ha giustificazione, la Omsa, infatti, non è in crisi, produce e vende tantissimo, si fregia del marchio ‘Made in Italy’ e in Italia ha il grosso del suo mercato. Ma in Serbia, forse, può sfruttare meglio chi lavora”. Pertanto, viene scritto dal promotore dell’evento, “abbiamo poche settimane di tempo per convincerli a non chiudere, a non mandare centinaia di famiglie sul lastrico. Per farlo dobbiamo farci sentire. Vincere questa battaglia significa lanciare un monito a tutte le aziende che, dopo aver goduto per decenni di benefici e sovvenzioni, in un momento di crisi del Paese, abbandonano la nave al solo scopo di fare qualche profitto in più sfruttando manodopera a basso costo all’estero”. Sulla pagina Fb compaiono anche tutti i marchi che fanno capo alla Golden Lady (Golden Lady, Omsa, SiSi, Filodoro, Philippe Matignon, NY Legs, Hue, Arwa) oltre all’invito a scrivere sulla bacheca Facebook della Omsa un appello a  cui  finora moltissimi navigatori del web hanno aderito. ‘Vergogna’ è la parola senza dubbio più utilizzata.

 

Negli scorsi mesi la vicenda Omsa aveva ricevuto diversa attenzione mediatica.  Il caso infatti era stato seguito con attenzione dalla stampa locale e nazionale, ma anche da  gruppi politici tra cui l’Italia dei Valori (lo stesso Antonio Di Pietro ha definito la scelta del licenziamento collettivo un “grave atto intimidatorio”). Alcune lavoratrici dello stabilimento faentino hanno inoltre dato vita a diversi interventi teatrali in giro per il Paese, grazie alle cosiddette ‘Brigate Teatrali’  gruppo di persone che ha deciso di rendere continuativa la propria attività per portare avanti le istanze delle lavoratrici dell’Omsa.

 

Un’interrogazione è stata  intanto presentata stamattina in Giunta Regionale dal consigliere  del Prc-Fds Roberto Sconciaforni che ha ricordato che  “la Golden Lady, proprietaria dell’Omsa, non risulta affatto in crisi”,  Sconciaforni sostiene inoltre  che  il licenziamento delle lavoratrici causerebbe “un gravissimo danno sociale ed economico” per il ravennate e per tutta la regione.

Bocciatura avvenuta anche  da parte dell’assessore regionale alle attività Produttive, Gian Carlo Muzzarelli.  “Io credo – ha spiegato Muzzarelli alle telecamere di Telesanterno – che sia un metodo sbagliato quello assunto dall’imprenditore Grassi per il fatto che è già attivo un tavolo ufficiale presso il ministero che tra l’altro si riunirà in questi giorni. Credo sia stato sbagliato spedire le lettere senza informare nessuno”. A giudizio dell’assessore emiliano-romagnolo, “nel merito della vicenda credo che abbiamo bisogno che l’imprenditore tiri fuori le carte dal cassetto e dimostri il piano che da tempo sta cercando di costruire e trovi le condizioni per dare una risposta per la reindustrializzazione del sito”. Anche perché, ammonisce Muzzarelli, “noi abbiamo bisogno di mandare un messaggio inequivocabile e cioè che stiamo con le lavoratrici, vogliamo garantire loro un futuro, che la reindustrializzazione del sito per noi è fondamentale e non concederemo sconti a nessuno. Voglio dare garanzie alle lavoratrici – chiosa – la Regione è insieme a loro, impegnata in questa battaglia”.

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