Cina. La rivalsa di Zhou, la condanna di Wang. Premi e purghe tra gli uomini di Bo Xilai

PECHINO (corrispondente) – In questi ultimi tempi di lui se ne sono dette di tutti i colori: unico vero alleato del tanto “chiacchierato” Bo Xilai- l’ex capo del partito di Chongqing epurato il 10 aprile-  sospettato di aver architettato un colpo di Stato lo scorso marzo, la stampa lo aveva dato per finito ma Zhou Yongkang, il potente uomo degli apparati di sicurezza cinesi e numero nove nell’organigramma del Partito comunista cinese, ad uscire dalla scena non ci pensa lontanamente.

E la rivincita arriva dal Xinjiang, la provincia autonoma del remoto e burrascoso ovest cinese.

Alcuni giorni fa il New York Times aveva insinuato che Zhou, indagato dalla Commissione Centrale per la Disciplina per i suoi legami con l’ex leader di Chongqing, avesse rinunciato alla propria carica in favore di Meng Jianzhu, attuale ministro per la Pubblica Sicurezza. Proprio l’appoggio da lui dimostrato a Bo pochi giorni prima che quest’ultimo venisse rimosso dalla sua carica gli era costata un’autocritica di fronte al presidente Hu Jintao e al primo ministro Wen Jiabao, secondo quanto riportato dal quotidiano newyorkese. La ridda di voci sulla sua sorte era stata messa a freno solo dopo un’inaspettata apparizione di fronte alle telecamere durante un summit con il premier indonesiano.

Ma le cose per Zhou si stavano mettendo male e la scorsa settimana a rincarare la dose ci hanno pensato 15 veterani del Partito, firmatari di una lettera indirizzata a Hu e Wen nella quale hanno richiesto esplicitamente la sua rimozione. “Vogliamo che venga destituito – aveva spiegato Zhao Zhengrong, ex funzionario anti-corruzione della provincia dello Yunnan- perché Zhou Yongkang ha diretto e supportato il ‘modello Chongqing’ ed era un sostenitore di Bo Xilai. Sono entrambi falsi e appartengono alla stessa razza”.

Una mossa ardita quella degli ex del Pcc, che schierati in un fronte unito contro uno dei nove membri del Comitato Permanete del Politburo, il vero Ghota di Pechino, avevano aizzato media e politologi pronti a scommettere su un’inevitabile defenestrazione di Zhou che, per raggiunti limiti di età, non potra’ comunque essere rieletto al prossimo Congresso del Partito, l’appuntamento piu’ importante nell’agenda del Dragone che segnera’ il rimpasto ai vertici della macchina politica cinese.

Alcuni giorni fa un’esclusiva della Retuers aveva rivelato un probabile ritardo del Congresso -di norma previsto per ottobre- a causa di alcuni contrasti ai piani alti del Partito circa i nomi che adranno a riempire sette delle nove poltrone che contano. E la smentita ufficiale del Quotidiano del Popolo non e’ bastata a far tacere il chiacchiericcio di sottofondo che continua ad accompagnare i lavori in corso per il ricambio della leadership cinese.

La scorsa settimana il quotidiano on-line Duowei aveva avanzato l’ipotesi di una possibile riduzione del numero dei seggi del Comitato Permanete da nove a sette, riportando così l’Empireo cinese alla struttura dei tempi in cui alla presidenza della Repubblica popolare sedeva Jiang Zemin. Il che comporterebbe una concentrazione del potere con conseguente eliminazione della carica di capo della Commissione per gli Affari Politici e Legali attualmente ricoperta proprio da Zhou Yongkang.

Ma con un colpo di scena venerdi’, al ritorno da una visita di alto profilo nel Xinjiang, il capo della sicurezza ha fatto la sua apparizione al fianco di Hu Jintao e Wen Jiabao durante una cerimonia in onore dei funzionari di polizia tenutasi nella Grande Sala del Popolo a Pechino. Uno sfoggio di unita’ e concordia volto probabilmente ad azzittire le malelingue (leggi: media d’oltremare) che dallo scoppio dell’affaire Bo Xilai vociferano di una spaccatura in seno ai vertici del Partito.

Non una gita di piacere quella di Zhou nell’irrequieta provincia occidentale, ma sicuramente di soddisfazione: il numero nove del Partito sarebbe stato “eletto unanimamente” dai 630 votanti membro della delegazione del Xinjiang al prossimo Congresso, come riportato sabato dal Xinjiang Daily. Scroscio di applausi per lui da parte di tutti i presenti “in segno di apprezzamento per l’appoggio dimostrato dal governo centrale”.

Coincidenza o meno, mentre Zhou attraversava la regione del nord-ovest, nel frattempo, a Tokyo si teneva il quarto forum annuale del World Uyghur Congress diretto da Rebiya Kadeer, un tempo donna d’affari xinjiangese ma ben piu’ nota per essere la leader dei ribelli indipendentisti uiguri, la minoranza turcofona che popola la provincia del Xinjiang e che da anni rappresenta per Pechino una dolorosa spina nel fianco. A Zhongnanhai – quartier generale del Pcc- non l’hanno presa bene, tanto che il ministero degli Esteri e gli organi d’informazione statali hanno rivolto aspre critiche contro il governo nipponico per aver accolto i rivoltosi. A indignare i funzionari cinesi sopra ogni cosa e’ stata la tappa della Kadeer presso il Yasukuni Shrine, un controverso memoriale in onore dei soldati giapponesi caduti in guerra.
Come si leggeva nella giornata di ieri sul People’s Daily, la missione di Zhou nel remoto Ovest, con tanto di visita presso una base d’addestramento delle truppe di riserva, ha avuto lo scopo di promuovere la stabilita’ a lungo termine della regione.

Il Xinjiang, con una superficie di 1,6 milioni di chilometri quadrati, in buona parte costituita da zone desertiche e montagne innevate, e’ la divisione amministrativa piu’ estesa della Cina. Confinante con diversi Stati dell’Asia Centrale tra i quali Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan e Pakistan, e’ stata piu’ volte teatro di scontri tra uiguri e han- l’etnia dominante in Cina- e viene pertanto considerata un’area particolarmente sensibile, specie dalle rivolte che nel 2009 insanguinarono la capitale provinciale Urumqi.
Il recente viaggio dell’alleato di Bo Xilai nella regione confermerebbe – secondo il New York Times- il suo pieno controllo sull’apparato di sicurezza nazionale; un potentato che con un budget di 111 miliardi di dollari quest’anno ha superato di 5 miliardi quello dell’esercito.

Ma c’e’ dell’altro. Il Xinjiang non e’ solo rocce e rivolte etniche. Importanti giacimenti di minerali, gas e petrolio hanno attratto le piu’ importanti societa’ petrolifere statali, tanto che la China Petroleum and Chemical Corporation (Sinopec), leader asiatico della raffinazione, lo scorso marzo ha annunciato che, entro il 2015, portera’ i suoi investimenti nella regione ad oltre 8miliardi di dollari. Un settore, quello dell’energia, nel quale Zhou ha sempre avuto le mani in pasta da che, laureato presso il Beijing Petroleum Institute, mosse i primi passi nell’industria del petrolio per poi diventare a metà degli anni ’80 vice ministro dell’Industria. Nel 1996 ha ricoperto la carica di general manager della China National Petroleum Corporation (CNPC), colosso energetico di proprietà statale, sino a diventare nel ’98 ministro della Terra e delle Risorse.

Chi si aspettava pesanti purghe per il sostenitore più accanito del segretrio di Chongqing sarà rimasto deluso, mentre proprio oggi la Reuters ha battuto la notizia che trenta delle imprese statali più in vista del Paese -tra le quali Sinopec, CNPC e China Mobile, il più grande operatore telefonico cinese- hanno firmato contratti da oltre 55miliardi di dollari con la municipalità ex feudo di Bo Xilai.

In una strana distribuzione di premi e castighi, gli alleati si salvano e i nemici vanno incontro a severe punizioni: Wang Lijun, il superpoliziotto che con la sua fuga presso il consolato Usa decretò l’inizio del caso Bo Xilai e la fine del proprio padrino politico, verrà a breve processato per tradimento, scriveva questa mattina il South China Morning Post. Per lui si profila il rischio pena di morte.

 

Condividi sui social

Articoli correlati