Cina. Crollano i ponti e montano le proteste

PECHINO – E’ il ponte più lungo a nord dello Yangtze (15,4km), è costato quasi 300 milioni di dollari e ha soli nove mesi di vita, ma venerdì scorso lo Yangmingtan di Harbin, città dello Heilongjiang, non ha resistito al peso di quattro camion per il trasporto di materiale edile: la sua rampa d’accesso è crollata causando la morte di tre persone e il ferimento di altre cinque.

Si tratta dell’ennesimo incidente ad aver coinvolto il settore delle infrastrutture cinesi, spesso ultimate in tempi record e con materiali di bassa qualità. Nel caso del “miracolo di Harbin” il progetto è stato portato a compimento in soli 18 mesi, rispetto ai tre anni previsti.

E come da copione il polverone mediatico si è ben presto sollevato intorno a quella che fino a pochi giorni fa veniva considerata la punta di diamante della città nord-orientale.
Le prime a finire sul banco degli imputati sono state le compagnie appaltatrici, sebbene dalle indagini effettuate dalla commissione d’inchiesta messa in moto dal governo locale la causa del crollo sembrerebbe da imputarsi esclusivamente ad un sovraccarico -circa 500 tonnellate contro le 55 per le quali era stato brevettato- mentre non sono state riscontrate anomalie nei materiali utilizzati.

Il 25 agosto alcune foto scattate da giornalisti giunti sul posto sono rimbalzate sui principali siti nazionali quali Sina e il portale Wangyi. La struttura del ponte sarebbe stata riempita con una mistura di sassi, bastoni di legno e sacchi di cemento come mostrano le immagini. D’altra parte la rampa non sarebbe da considerarsi parte della struttura principale del Yangmingtai -ha affermato ieri al South China Morning Post Huang Yusheng, segretario generale di Harbin- e anche se risultassero problemi con la qualità dei materiali ciò “non avrebbe nulla” a che fare con il progetto iniziale.

Inondazioni, sovraccarichi e collisioni con navi da carico sono le cause normalmente rese note dal governo in caso di incidenti di questo tipo. Gli esperti, d’altronde, sono meno ottimisti verso la qualità delle barriere architettoniche “made in China”. Dan Danhui, professore associato presso il dipartimento per la sicurezza dei ponti della Tongji University di Shanghai, ritiene che la costruzione di infrastrutture in Cina avvenga spesso in maniera troppo frettolosa. La situazione si è aggravata da quando, negli ultimi anni, per fra fronte alla recessione globale, Pechino ha spinto il piede sull’acceleratore degli investimenti nella speranza di rilanciare l’economia nazionale, creando posti di lavoro e mantenendo alta la crescita del prodotto interno lordo, spiega il South China Morning Post.

“Alcuni anni fa la Cina aveva solo 500mila ponti, ora ve ne sono oltre 700 mila”, ha affermato Dan, “nessun paese ha mai costruito centinaia di migliaia di ponti in così pochi anni. Con un numero tanto enorme di progetti in corso non sono stupito della diffusione dei crolli”.

Quella del professor Dan è una preoccupazione diffusa tra gli addetti ai lavori. Chen Zhaoyuan, docente della prestigiosa Tsinghua University di Pechino nonché membro dell’Accademia cinese d’ingegneria, giusto lo scorso anno aveva pubblicato una lettera aperta nella quale veniva messa sotto accusa proprio la disinvoltura utilizzata nella realizzazione dei ponti a discapito di alcune “buone pratiche” volte ad assicurare la sicurezza pubblica.

Fino a dieci anni fa procedere contemporanemante alle indagini, al lavoro di progettazione e alla costruzione veniva ritenuta una prassi irresponsabile; oggi è il modo più comune con il quale i funzionari governativi incaricati dei progetti possono portare a termine il lavoro avviato entro la scadenza del proprio mandato.

“Trovare metodi intelligenti per ridurre i costi nel rispetto dei requisiti minimi di sicurezza” è questa la nuova filosofia sulla quale si basa lo sviluppo delle opere pubbliche cinesi, ha commentato Dan.

E i numeri ne sono testimoni: secondo quanto emerso dai registri della State Administration of Work Safety sono almeno 18 i ponti crollati dal 2007 ad oggi, per un totale di 135 morti. Come castelli di sabbia sono franati dopo meno di quindici anni dal taglio del nastro.

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