Il caso DuPont: dietro lo spionaggio cinese si nasconde il Pcc

PECHINO (corrispondente) –  Un’altra spy story in salsa di soia inasprisce lo scontro commerciale tra Stati Uniti e Cina. Walter Liew, 54enne uomo d’affari malese di nascita e americano d’adozione, è finito dietro le sbarre con l’accusa di aver rubato segreti commerciali al gigante dell’industria chimica DuPont.

La notizia era già balzata agli onori della cronaca lo scorso aprile, quando il signor Liew e la sua consorte erano stati incriminati per manomissione di testimonianze, false dichiarazioni e alterazione di prove. Ora i nuovi documenti rilasciati dalla Corte arricchiscono la faccenda di ben più succulenti e freschi dettagli: avanzata l’ipotesi  di un coinvolgimento niente meno che del Partito comunista cinese, il nome di un membro del Politburo si fa strada nel registro degli indagati.

Nella tipica divisa carceraria color zafferano, mercoledì l’imputato ha fatto il suo ingresso nelle aulee della Corte federale di San Francisco dove gli inutili tentativi della difesa si sono infranti contro il muro di determinazione del giudice Nathaniel Cousins.

 

Niente da fare per Liew, trattenuto senza possibilità di cauzione; sorte migliore, invece, per la moglie Christina,alla quale è stata concessa la libertà.

Ma l’avvocato del businessmen americano, Thomas Nolan, non molla la presa e continua ad invocare giustizia. “Non c’è nulla di illegale nel comportamento del mio assistito” ha affermato Nolan “cadrebbe nell’ illegalità se facesse uso improprio di questi segreti commerciali”

Ma l’accusa non ci va leggera: Liew avrebbe pagato almeno due ex ingegneri della DuPont, addetti all’assitenza nella progettazione del biossido di titanio,anche noto agli addetti ai lavori come TiO2. Un componente essenziale per la DuPont, considerata il più grande produttore mondiale di pigmento bianco utilizzato per la realizzazione di una seie di prodotti, quali carta, vernici e plastiche.

 

Da mesi Washington lamenta un aumento dei casi di spionaggio industriale ai propri danni, definendolo una seria minaccia per la prosperità del Paese. E proprio lo scorso novembre un rapporto rilasciato dal governo americano chiamava in causa Pechino, accusando senza mezzi termini la Cina di essere “il protagonista più attivo nel mondo dello spionaggio economico.”

Ma se il copione è già più o meno noto, qualcosa di grosso differenzia il caso DuPont dalle spy story che in passato hanno già condotto l’Aquila e il Dragone ai ferri corti.

 

La presunta implicazione della nomenklatura cinese non fa che avvalorare una tesi già più volte avanzata sull’altra sponda del Pacifico, secondo la quale il mandante dei numerosi furti di how-know aziendale a stelle e strisce sarebbe proprio Zhongnanhai.

Come messo in evidenza da Mark Anderson, analista tecnologico che per anni ha seguito la politica commerciale cinese e le sue strategie, è la prima volta che un membro del Politburo viene indagato per spionaggio, e il caso DuPond fa tanto più scalpore in quanto va a toccare la sfera economica anzichè quella militare.

“Questo è senza dubbio il loro segreto più importante nel mondo della pittura” ha aggiunto Anderson facendo notare come, nel solo 2010, la divisione in questione del colosso chimico abbia fatturato ben 6miliardi di dollari.

Un bottino niente male per i predoni dagli occhi a mandorla.

Ma facciamo un passo indietro. Correva l’anno 1991 quando il nostro Liew fu invitato ad un banchetto da Luo Gan, al tempo alto funzionario del Comitato Centrale del Pcc,e oggi uno dei nove membri del Comitato Permanente, il Ghota cinese. A mettere in scacco Luo, così come molti altri nomi della politica dell’ex-Impero Celeste, la corrispondenza rinvenuta dai funzionari federali americani nella cassetta di sicurezza di Liew.

“Il banchetto è stato organizzato per ringraziarmi di essere un  cinese d’oltremare dal sentito patriottismo, che, pur lontano, continua a servire la Cina, e che ha fornito tecnologie chiave utilizzabili per la difesa nazionale”si legge in una nota firmata da Liew ed indirizzata ad una società dell’Impero di Mezzo.

Durante l’incontro tenuto in suo onore- come dichiarato dall’accusa- Luo diede una serie di direttive a Liew il quale, dopo due giorni, ricevette l’elenco dei “progetti chiave”che avrebbe dovuto portare avanti: tra questi figurava anche la già citata “missione TiO2”.

Una storia dettagliata, quella fornita dal pubblico ministero Usa, che lo 007 sino-americano ha smentito dall’inizio alla fine, pur sorvolando sulla controversa figura di Luo Gan.

Intanto gli avvocati difensori cercano di metterci una pezza a colori, dichiarando che le aziende cinesi non sarebbero mai state in grado di padroneggiare autonomamente una tecnologia tanto avanzata come quella di DuPont.

Dan Turner, portavoce del gigante chimico ha fatto sapere che la società ha deferito la questione alle forze dell’ordine, ma che continuerà a prendere misure aggressive per proteggere la sua proprietà intellettuale e le tecnologie segrete per le quali ha acquisito fama internazionale.

Aria tesa anche nel mondo della diplomazia, dove il silenzio dell’ambasciata cinese a Washington, chiamata mercoledì a commentare l’accaduto, lascia intuire un malcelato imbarazzo.

Da tempo gli esperti della sicurezza di Internet accusano Pechino di aver assoldato degli haker con lo scopo di penetrare nelle reti delle più rinomate società americane che operano nei settori della difesa, della finanza e della tecnologia, senza risparmiare nemmeno i network dei principali istituti di ricerca.

E ora che anche DuPont ha aggiunto la sua voce al coro di proteste, il braccio di ferro tra l’Aquila e il Dragone non sembra destinato a finire in tempi brevi

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