“Chi ha incastrato Wang Lijun”

PECHINO  (corrispondente) – Il caso internazionale del momento viene dalla Cina e si chiama Wang Lijun. Storia di intrighi politici, lotte di potere e cospirazioni da alcuni giorni a questa parte agitano l’ex Impero Celeste.

Il protagonista è niente meno che il cavaliere senza macchia che guidò le forze di polizia della città di Chongqing in una campagna contro le triadi e la corruzione: Wang Lijun, 53 anni, ex-capo delle forze dell’ordine e vice sindaco di Chongqing, nonché braccio destro di Bo Xilai, segretario del partito locale e astro nascente della politica cinese. Quel Bo Xilai che fautore di un socialismo ortodosso e consacrato a nuovo Mao, ha riportato in auge canzoni e poesie comuniste; avversario storico del capo del Partito del Guangdong WangYang, noto per le sue tendenze liberali e per i successi ottenuti durante gli “episodi di Wukan”, sino a poco tempo fa era uno dei candidati più favoriti ad una delle nove poltrone del Comitato Centrale del Politburo, ma oggi chissà…

Tutto cominciò la notte tra il 6 e il 7 febbraio scorso a Chengdu, capitale della provincia del Sichuan, quando la polizia militare circondò il consolato Usa della città, come mostrano le foto pubblicate su Weibo, sorta di Twitter in salsa di soia. Nell’insolito via vai di macchine, automobili recanti targhe del governo alimentano subito le fantasie del popolo del web: un alto funzionario di nome Wang Lijun si sarebbe recato presso la sede diplomatica statunitense per invocare asilo politico. Al rifiuto americano avrebbero fatto seguito gli arresti domiciliari.

Questa la versione che in poche ore ha fatto il giro dell’infosfera, e mentre mercoledì mattina l’ambasciata degli Stati Uniti a Pechino continuava a mantenere il silenzio, il governo cinese ha rilasciato un comunicato che di lì a poco avrebbe alimentato nuove e più ghiotte teorie. “Wang si è preso un congedo, dovuto a problemi fisici a causa del carico di lavoro eccessivo e si trova in vacanza per effettuare delle cure”, recitava la dichiarazione ufficiale pubblicata su microblog del governo di Chongqing.

Risuonata tanto come la scusa peggiore che Zhongnanhai potesse trovare, le parole “vacanza” e “stressato” sono diventate immediatamente il nuovo tormentone della rete, dando vita a giochi di parole, tanto che nella giornata di ieri su Sina- il servizio di microblog più popolare della Cina- il nome di Wang Lijun è apparso ben 540 mila volte, mentre il messaggio dell’ufficio governativo di Chongqing è stato ritwittato da migliaia di internauti prima di essere rimosso, con tante scuse del personale. “Un errore degli web editor”, hanno fatto sapere.

Calcolando che è usanza cinese non rivelare informazioni personali riguardanti i funzionari, la repentinità con la quale il Partito ha cercato di mettere a tacere le voci sul superpoliziotto non hanno fatto altro che confermare uno stato di imbarazzo. Il tutto confermato da una sospetta censura ad intermittenza: il nome di Wang è stato bloccato e sbloccato più volte, e con eccezione per il nome di Bo Xilai, le restrizioni sono ben presto state eliminate “ Quando i funzionari sono a conoscenza di qualcosa che è accduto, è meno probabile che venga censurata sui microblog” ha spiegato Zhang Ming, professore di scienze politiche presso la Renmin Univesity di Pechino.

Sta di fatto che Wang Lijun è rientrato negli argomenti più cliccati su Weibo e la sua storia è – parafrasando Michael Anti, blogger politico residente a Pechino- “è l’evento politico più colossale che sia avvenuto nella Cina continentale dall’inizio dell’era dei social media”.

Le immagini delle strette misure di sorveglianza alle quali è stata sottoposta la sede consolare Usa impazzano su Internet, mentre fioccano le ipotesi e i commenti dei fanatici politici; inchiodati ai loro computer, gli spettatori hanno seguito tutto in trepidante attesa, minuto per minuto. “ Cosa sarebbe successo se un uomo in possesso di segreti di Stato come Wang, fosse finito nelle mani degli americani, gli avversari numero uno del Dragone?” Sembra essere la domanda più ricorrente tra i cittadini del web. E perchè il consolato statunitense avrebbe chiuso le sue porte al funzionario in cerca di aiuto? Forse per non irritare Pechino a ridosso della vista negli Usa del futuro presidente Xi Jinping?

Secondo indiscrezioni non confermate, Wang sarebbe caduto vittima di un indagine per corruzione. “Anche se le voci risultassero false” ha commentato il Financial Times, “la scomparsa improvvisa di Wang potrebbe comunque nuocere al suo ambizioso protettore Bo Xilai.” “Questo sarà un duro colpo per lui, perchè Wang ha rivestito un ruolo centrale nella sua campagna anti-criminalità ed è stato fondamentale nel forgiare l’immagine di Bo davanti all’opinione pubblica e anche davanti agli occhi dei funzionari.” E ormai la pista più seguita è proprio quella di una congiura nei confronti del novello Mao.

Intanto nella giornata di giovedì il noto artista dissidente Ai Weiwei diceva la sua, fischiettando su Internet che il superpoliziotto aveva veramente cercato rifugio tra le braccia della diplomazia a stelle e strisce, e che le sue richieste di aiuto risalirebbero a prima di questa settimana. Notizia ottenuta grazie ad un “affidabile avvocato americano”- del quale Ai non ha voluto rivelare il nome- ed, in parte, confermata in tarda serata dal ministero degli Affari Esteri cinese: “Un portavoce del ministero ha dichiarato che Wang Lijun ha fatto il suo ingresso nel consolato statunitense di Chengdu il 6 febbraio e ha lasciato la sede diplomatica il giorno dopo. Le autorità stanno continuando le indagini” scriveva ieri l’agenzia di stampa Xinhua, amplificando un comunicato apparso sul sito del governo di Pechino.

Simile la versione rilasciata dalla portavoce el Dipartimento di Stato, Victoria Nuland, la quale ha ammesso la richiesta innoltrata da Wang di un incontro presso il consolato Usa ad inizio settimana, ma ha anche specificato che egli ha lasciato la sede diplomatica di suo spontanea volontà, baipassando l’ipotesi di un asilo politico.

E nonostante le autorità continuino a gettare acqua sul fuoco nel tentativo di minimizzare l’accaduto, secondo gli esperti ci sono buone probabilità che il caso Wang Lijun possa avere un’influenza determinante sui rimescolamenti politici del XVII Congresso del Partito Comunista, che alla fine dell’anno porteranno ad un cambio di leadership. Eccetto che per la cariche di presidente e primo ministro, destinate, salvo colpi di scena, rispettivamente a Xi Jiping e Li Keqiang, vi sono ancora sei posti vacanti per i quali gran parte degli alti papaveri cinesi farebbero di tutto.

Un ulteriore elemento avvallerebbe l’ipotesi di sospette alchimie politiche e lotte intestine: pochi giorni fa Wang era stato destituito dal ruolo di capo della sicurezza, per essere spostato in settori meno sensibili quali quelli della scienza e dell’ambiente. Lo sceriffo di Chongqing potrebbe essere caduto in disgrazia in seguito al giro di vite sulle gang mafiose messo in atto tra il 2008-2010, trasformato in seguito fiore all’occhiello dell’amministrazion Bo Xilai, ma che sarebbe avvenuto- come spiega l’analista Li Fan- con metodi poco ortodossi e in disaccordo con le linee guida previste dal governo centrale.

Intanto il sito Boxun- che pur avendo in passato svelato interessanti retroscena politici, non risulta del tutto attendibile- propone una serie di aggiornamenti lampo sulla spy story del poliziotto cuor di leone, che, per il suo coraggio e la sua integrità morale, ha ispirato la serie TV Iron Blooded Police Spirit.
La carrellata comincia con una lettera inviata alla redazione da un presunto amico d’oltremare di Wang, in cui lo stesso Wang denuncerebbe la corruzione e i comportamenti immorali del suo protettore Bo Xilai, definendolo un “gangster”avido e senza scrupoli “Quando questa letterà verrà letta forse io non ci sarò più…” si legge sul portale di Boxun.

Ultima pubblicazione, invece, la confessione di Bo Xilai il quale si accollerebbe tutta la responsabilità per gli ultimi accadimenti che hanno coinvolto Wang e si direbbe pronto a dare le dimissioni.
Ma non manca nemmeno la soffiata di una gigantesca manovra volta a mobilitare ben 68 funzionari di alto livello, tutti fedelissimi a Wang Lijun e pronti a vendicare il loro “fratello”, mentre, colpo di scena, alla fine del pezzo compare il nome del primo ministro canadese Stephen Harper; come se la trama della nostra storia non fosse già sufficientemente intricata.

Speculazioni, ipotesi, voci di corridoio più o meno tinte di verità a seconda dell’attendibilità della loro fonte. E’ difficile dire dove finisca il romanzo e comincino i fatti. Una cosa però è certa:
Nonostante il viceministro degli Esteri, Cui Tiankai, abbia voluto precisare che “si è trattato di un episodio isolato che non avrà alcuna ripercussione sul viaggio di Xi Jinping negli Usa della prossima settimana”, per le relazioni sino-americane l’anno del Dragone è decisamente cominciato in salita.

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