Articolo 18. Renzi spacca i sindacati

 

ROMA – Scricchiola il fronte sindacale sull’articolo 18, il giorno dopo il botta e risposta tra Matteo Renzi e Susanna Camusso dalla Cisl arriva un segnale di apertura e lo stesso sindacato di corso Italia sembra cercare il modo di abbassare i toni, sia pure ribadendo il no ai licenziamenti «senza una ragione». Una competizione, quella tra i due principali sindacati, che non dispiace certo al premier, incalzato da parte della minoranza interna del Pd.

Il primo segnale arriva proprio dalla Cgil, che su twitter scrive: «Basta insulti al sindacato: guardiamoci negli occhi e discutiamone». Poco dopo, durante un seminario organizzato dal Pd Giuseppe Fioroni, è Raffaele Bonanni a dire che la priorità è trovare soluzioni che eliminino l’attuale giungla di contratti precari e che «la Cisl è pronta a ogni soluzione pur di arrivare a questo, anche a una rimodulazione dell’articolo 18».

Certo, la Cgil non sembra fare marcia indietro sui contenuti («Mandare tutti in serie B non è estendere i diritti e le tutele», recita un altro ‘tweet’. «Stesso lavoro, stessa retribuzione. No al demansionamento»), ma quel «discutiamo» è probabilmente il segnale che il timore di rimanere da soli in battaglia comincia a circolare. Anche esponenti Pd come Matteo Orfini, di solito vicini al sindacato, questa volta fanno parecchi distinguo: è vero che il Jobs act ha bisogno di «modifiche consistenti», perché «l’accordo raggiunto con Ncd è inaccettabile», ma è «incomprensibile che il sindacato scioperi preventivamente. C`è una discussione difficile in corso, suggerirei di aspettare l`esito». Insomma, è il messaggio, un conto è cercare di correggere la riforma, altra cosa è sparare contro come se al governo ci fosse Berlusconi.

Le possibili «correzioni» preoccupano però gli alleati di centrodestra del premier, sia quelli di maggioranza che quelli che partecipano solo alle riforme: «Renzi, se ce la fa, avrà il nostro appoggio – dice Brunetta – ma già metà del suo partito gli ha detto di no». E Maurizio Sacconi, Ncd, in modo garbato avverte che non sarebbero tollerati passi indietro: «Il Nuovo Centrodestra non accetterà mai di tornare indietro e si fida del modo con cui il presidente del Consiglio segretario del Pd e il ministro del Lavoro iscritto al Pd eserciteranno la delega». 

Il premier, in viaggio per gli Usa, per ora non commenta. Ma il senatore renziano Andrea Marcucci dice: «»È sicuramente positivo un dialogo con le forze sociali sulla legge delega. L’importante, come ha detto il segretario della Cisl Bonanni, è liberarsi dalle ossessioni di alcuni sull’articolo 18. Da parte del governo Renzi non c’è alcun diktat. Il Pd deciderà la propria posizione in direzione«. Proprio questo è il timore della minoranza del partito: che Renzi si faccia approvare la linea dalla direzione, dove ha numeri sicuri, per poi »usare quel voto come una clava contro chi dissente«, come diceva l’altro giorno Pippo Civati.

 

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