Racconto. La villa romana dell’amico di Putin  

Ci sarà sicuramente un Paperone che vorrà comprare la villa romana di proprietà del musicista russo Valery Gergiev, amico personale di Vladimir Putin, che secondo indiscrezioni sarebbe stata messa sul mercato. Un po’ come comprare la Fontana di Trevi, (ricordate Totò che provò a venderla ad un americano?) perché si tratterebbe di un acquisto eccezionale, come comprare un pezzo di storia contemporanea.

Pur essendo una modernissima costruzione immersa nel verde di un esclusivo centro residenziale alle porte di Roma, la villa può raccontare vicende straordinarie perché è tuttora al centro di un intrigo internazionale popolato di strani personaggi, come una giovane arpista giapponese, uno sfortunato dissidente russo, un direttore d’orchestra che il capo del Cremlino ha nominato suo consigliere per la musica.

 Tutti coinvolti in una spy story con dentro tutto: un testamento contestato, un palazzo sul Canal Grande diventato albergo, un patrimonio di cento milioni di euro passibile di sequestro, e sullo sfondo la guerra in Ucraina. Ken Follett ci avrebbe scritto di sicuro un best-seller, Alfred Hitchcock ci avrebbe girato uno dei suoi thriller. Una storia che sembra inventata, invece è tutta vera, come autentici sono i fatti, i personaggi, le situazioni, un classico caso di “quando la realtà supera la fantasia. 

L’azione si svolge in tre continenti (Europa, Asia e America) in quattro nazioni (Italia, Russia, Ucraina e Giappone) in cinque grandi città (Roma, Milano, Venezia, Mosca, Tokio). Il personaggio principale è una giapponesina suonatrice di arpa, intorno a lei ruotano un ricco industriale milanese, un direttore d’orchestra russo amico di Vladimir Putin, un dissidente feroce oppositore del capo del Cremlino, (morto in galera dopo aver scontato dure pene per accuse pretestuose), schiere di investigatori in divisa e in borghese, compreso un esperto grafologo in gonnella, agenti segreti di varie nazionalità. 

     E un turbinio di miliardi di dollari, euro e rubli che farebbero la fortuna del bilancio di una piccola democrazia occidentale dal pil risicato. Me veniamo ai fatti.

Tutto cominciò negli anni Trenta, quando in Giappone, in un piccolo centro della prefettura di Kumamoto, nell’isola di Kyushu, viene al mondo Yoko Nagae: il padre è un uomo d’affari, la madre suona il pianoforte, come farà la piccola Yoko. Quando la bimba ha otto anni la madre se ne va di casa, dalla rabbia il padre fa a pezzi il pianoforte. 

Yoko continua a suonare nelle case dei vicini. La musica è il suo destino. Cresciuta, fa l’insegnante di musica per pagarsi l’università, si laurea a Tokyo, si sposa prestissimo con un compagno di studi, e altrettanto rapidamente divorzia. La sua biografia è galoppante: dopo aver vinto una rara borsa di studio italiana va a Venezia per studiare l’arpa al Conservatorio “Benedetto Marcello”. 

Una sera d’estate del 1962 è in piazza San Marco seduta ad un tavolino del caffè Florian quando un signore distinto e con vent’anni di più la adocchia e subito prende a corteggiarla con insistenza. Lei è una trentenne, piccolina, neanche bellissima, ma lo studio dell’arpa l’ha dotata di un garbo raffinato. 

Il signore è un nobiluomo milanese, il conte Renzo Ceschina, che si è arricchito vendendo materiali da infermeria militare all’esercito italiano sia nella prima che nella seconda guerra mondiale. E la conquista.

I due si sposano nel 1977, cinque anni dopo lui muore, ma nel testamento lascia alla moglie l’immenso suo patrimonio, che a Venezia comprende lo storico palazzo Barbarigo, oggi un albergo di lusso sul Canal Grande, e il caffè Quadri di piazza San Marco, dove si erano incontrati la prima volta; a Milano centinaia di appartamenti da reddito; addirittura un promontorio sulla costiera sorrentina con una villa principesca; in Romagna ampi terreni coltivati, numerosi conti in banca in tutto il mondo e a Roma una villa fra le più originali.

 È disabitata da anni anche se di recente è stata restaurata dal nuovo proprietario, il musicista russo Valery Gergiev, noto alle cronache della guerra in Ucraina per essere stato cacciato dalla Scala di Milano, dov’era in tournée: si era   rifiutato di condannare esplicitamente l’aggressione russa all’Ucraina di Zelenski. 

Valery Gergiev era il celebre direttore del teatro Marinskyed, è legato a Putin da una strettissima amicizia, per questo è stato bandito dai teatri lirici europei, non solo dalla Scala. Ma la villa a Roma gli è rimasta, anche se dal giorno dell’attacco all’Ucraina nessuno è stato più visto entrare o uscire. 

La villa è fra le prime costruite in quel posto negli anni Sessanta. Per anni, dalla strada si poteva ammirare una grande arpa troneggiare nel salotto aperto da una luminosa vetrata rotonda su un giardino ad anfiteatro, dove il nuovo proprietario della villa (gliela aveva nel frattempo regalata l’arpista in uno dei suoi tanti gesti di mecenatismo) avrebbe voluto tenere, a fine lavori, un concerto inaugurale al quale aveva invitato l’amico Putin. 

Poi non se n’è fatto più nulla. Il nuovo zar si era appena annesso militarmente la Crimea e già allora non era molto presentabile sulla scena internazionale. Poi ci sarebbe stato l’attacco all’Ucraina. Ma torniamo all’arpista giapponese. 

Rimasta vedova, a Yoko Nagae non fu facile entrare in possesso dell’eredità Ceschina. I parenti prossimi del conte, avevano fatto subito causa chiedendo al tribunale di dichiarare falsa la firma sul testamento che lasciava alla moglie giapponese lei tutti i beni e di considerarla responsabile del reato di tentata truffa. 

La vertenza giudiziaria si è trascinata per anni: il punto da stabilire era se la firma del conte sul documento fosse autentica. I periti di parte si contraddissero: l’ufficio competente dell’arma dei carabinieri, interpellato dai parenti esclusi dall’eredità, stabilì che la firma era falsa, mentre i grafologi della polizia di Stato, a cui avevano fatto ricorso i legali del conte, dissero il contrario e cioè che l’autografo era autentico.

 Determinante fu la perizia svolta da un vice-questore in gonnella, moglie di un giornalista di un’agenzia di stampa che si appassionò alla vicenda, che non ebbe dubbi: la firma è autentica. Il giudizio del tribunale ne tenne conto e sentenziò che la vedova giapponese non solo non era colpevole di truffa ma che poteva entrare in possesso del ricco patrimonio lombardo.

 Yoko Nagae, che intanto si era stabilita in Italia, una sera andò al teatro Parioli per partecipare ad una puntata del “Maurizio Costanzo Show”, dove fra il divertimento del pubblico raccontò la storia della firma contesa fra grafologi. 

In breve, forte di un patrimonio miliardario, diventò la munifica mecenate di giovani musicisti, fra i quali appunto Valery Gergiev, l’amico di Putin, e fattane adeguata conoscenza decise di nominarlo suo erede universale. Fu lui a starle accanto fino alla fine: la generosa arpista giapponese è morta nel 2015, a 82 anni, e fu lui, Gergiev, a spargerne le ceneri sul lago Bajkal, in Siberia. Da quel giorno, il musicista finalmente ha potuto godersi in pace la ricchezza ereditata, calcolata del valore di oltre cento milioni di euro. 

Ma un nuovo colpo di scena era in arrivo: Alexej Navalny, il dissidente russo che il Cremlino ha prima tentato di far avvelenare e poi lo ha imprigionato con l’accusa di tradimento, nella sua lotta alla corruzione nel Cremlino, prima di morire in carcere ha dimostrato al mondo che Valery Gergiev come amico intimo di Putin è uno degli oligarchi che circondano il nuovo zar, al punto di meritarne un’alta onorificenza, la “medaglia dell’amicizia”.  

Con la motivazione: ha contribuito alla diffusione della cultura russa all’estero. Secondo Navalny, Gergiev sarebbe stato il “consigliere musicale” di Putin, di cui peraltro non si ha notizia di particolare passione o competenza per la musica classica: è indubbio che preferisce i consiglieri militari, anche se poi ne diffida. 

 Per incastrare Gergiev e fargli ammettere la sua posizione privilegiata nell’entourage di Putin, lo spericolato Navalny, la sera prima dell’invasione russa dell’Ucraina, il 23 febbraio scorso, aveva mandato una bella ragazza (“vestita di rosso” scrive Luciano Ferraro che su 7, il magazine del Corriere della sera, ha ricostruito l’episodio), alla Scala di Milano al termine dell’ultima rappresentazione della Dama di picche di Cajkovskij. 

 “Maestro, mi dà un autografo?” aveva chiesto la donna in rosso, e Gergiev senza nulla sospettare aveva messo la sua preziosa firma sul foglietto che gli veniva porto. Tutta la scena era stata ripresa con una telecamera e con quella firma i collaboratori di Navalny, dopo aver confrontato l’autografo con le firme in calce a importanti documenti internazionali, ebbero la conferma dei traffici che il musicista beneficato dall’arpista giapponese stava svolgendo per conto del capo del Cremlino. 

Naturalmente lo dissero ai quattro venti e Navalny si vide raddoppiare la condanna alla galera. Ma anche Gergiev ebbe i suoi guai: fu il sindaco di Milano in persona, Giuseppe Sala, quattro giorni dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dei carri armati russi, a chiedere al direttore d’orchestra Valery Gergiev “di condannare pubblicamente le azioni della Russia in Ucraina, sotto la minaccia di porre fine alla sua cooperazione con il teatro alla Scala”. Più recentemente al russo è stato negato l’accesso alla reggia di Caserta dove amici italiani di Putin gli avevano organizzato un concerto. 

Alla richiesta di condannare esplicitamente l’invasione dell’Ucraina, Valery Gergiev ha sempre preferito non rispondere: dopo il rifiuto della Scala aveva preso il primo aereo e lasciato precipitosamente l’Italia, dove forse temeva di essere arrestato e che resta, però, il paese nel quale possiede un immenso patrimonio, tuttora passibile di sequestro in base alle sanzioni disposte dall’Unione Europea sui beni degli oligarchi russi amici di Putin. 

Compresa la villa di Roma che è stata disegnata da un famoso architetto: ha linee modernissime e in origine un prato verde di autentico trifoglio sul tetto. Sembrerebbe abbandonata, eppure una volta alla settimana per anni una ditta ne ha curato il giardino. Ma nel salotto la grande arpa non c’è più. E nemmeno l’erba sul tetto: si è seccata, per forza: nessuno l’ha più innaffiata. Se ne occuperà il prossimo proprietario della villa, il Paperone di turno o forse un oligarca russo sfuggito alle sanzioni imposte dall’Occidente. Oppure è immaginabile Elon Musk, al quale un amico ha detto che a Roma l’aria è buona e si mangia bene.

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