A ognuno il suo

ROMA – Una volta c’era il “sistema dei partiti”, perno della Costituzione italiana. Ora è sostituito dal populismo. Questo pare essere l’approdo del Paese. Vi sono settori importanti di sinistra – e poco interessa se sono del Pd o della sinistra radicale e minoritaria – che a questo guardano e sono pronti a dialogare con quelle forme che si presentano con i connotati di sinistra e dell’antagonismo. 

Della cultura dei grandi partiti che per cinquant’anni hanno segnato la vita politica del Pase poco o nulla resta. Non più partiti di massa radicati <<in tutte le pieghe della società>> come affermava Togliatti, ma formazioni “leggere” dei leaders e di un insieme di “comitati elettorali” che vanno ben oltre il correntismo che regolava la vita di partiti come la Dc e il Psi. Mentre il Pci rimediava a questa pratica negativa con il “centralismo democratico”, limitando però lo sviluppo della democrazia interna. 

C’è chi pensa che l’involuzione al leaderismo sia dovuto alla drammatica crisi economica e sociale che attanaglia il Paese. Leaderismo e populismo quindi come reazione alla “vecchia politica”, non più in grado – si dice – di dare risposte. Le cose non stanno così. Il dissolvimento dei “partiti di massa” è un processo che abbraccia l’ultimo ventennio, avviene prima della crisi economica che si caratterizza sempre più come crisi strutturale del sistema Italia; lo precede mettendo in discussione la Carta costituzionale. Sarebbe il caso svolgere un’attenta e critica ricostruzione della nostra storia recente per capire come si sia giunti a tale situazione. 

Con l’atto della soppressione del finanziamento pubblico dei partiti si è certificato la loro morte. Si è tornati all’Ottocento, quando la politica era appannaggio delle classi benestanti e l’impegno politico coincideva con l’elezione in una assemblea elettiva!

Elezione diretta dei Sindaci e dei Governatori delle Regioni, sistema elettorale maggioritario (“porcellum”), bipolarismo, cultura del berlusconismo e del leghismo, pratica abusata delle primarie, un distorto concetto di federalismo, la sistematica violazione dell’articolo 11 (<<L’Italia ripudia la guerra>>), le inique trasformazioni in materia di lavoro con criteri che hanno creato un esercito di precari, sono alcuni degli aspetti più gravi che hanno di fatto modificato e snaturato i principi della Costituzione. Ma per determinare un’offensiva di tale portata bisognava in primo luogo colpire il “sistema dei partiti” con il pretesto della “democrazia dell’alternanza”. Mai visione fu più esplicita: Berlusconi o Prodi e viceversa. Può accadere di tutto ma l’importante è salvaguardare il bipolarismo come conquista fondamentale per una “moderna democrazia” basata sul “leaderismo del capo”. Per questo è un “sistema” irrinunciabile sia per il centro-destra che per il centro-sinistra.

Siccome però al conflitto sociale è impossibile mettere la museruola – soprattutto in una situazione di crisi – anche se è scarsamente rappresentato nelle istituzioni – la contestazione sociale, ma anche quella civile, prendono la forma del ribellismo, unico modo possibile che la contestazione ha di manifestarsi; ma proprio perché non ha mediazione politica è impregnata di giustizialismo, di demagogia e di populismo che riscuotono consensi e mettono radici tra chi paga un durissimo prezzo sociale.Il modo in cui queste forme di protesta si sviluppano lo si sa: sono il grillismo e i “forconi”. In un sistema politico già fortemente caratterizzato dal populismo la risposta non poteva essere, in assenza della sinistra, che di natura populista ma radicale. Non rispettosa delle istituzioni, per i grillini, o eversiva,  per i “forconi” (anche se c’è da chiedersi quale tasso di considerazione delle istituzioni hanno centro-destra e centro-sinistra, iniziando dalla questione morale).

Non a caso tutti intendono dialogare con queste forme di populismo: Berlusconi con Grillo, l’antagonismo radicale di sinistra sia con quest’ultimo sia con i “forconi” e la destra fascista s’insinua in tale movimento per cercare di egemonizzarlo. In questi giorni i grandi mezzi di comunicazione hanno scritto fiumi di parole sui “forconi”, animati da figure di basso ceto medio fortemente impoverite dalla crisi (commercianti, ambulanti, piccoli proprietari di mezzi di trasporto, agricoltori, artigiani e lavoratori dell’indotto diffuso di imprese chiuse o in crisi, ecc.) con l’aggiunta rilevante di studenti e di giovani del tessuto urbano periferico e di precari. Si è fatta molta sociologia, come d’altronde una pioggia di analisi, non sempre a proposito, sono piovute dopo il boom elettorale dei grillini. Addirittura settori non marginali del Pd ma anche di Sel hanno creduto e ancora credono che sia possibile con Cinque stelle chiudere una intesa politica, forse un accordo di governo. Dunque, dall’estrema destra all’estrema sinistra ognuno ha il suo populismo che nel Paese è oggi contrastato solo da una minoranza trasversale che appare però residuale, cioè una nostalgica espressione della prima Repubblica.

Paradossalmente gli unici che non sono stati travolti dal populismo dilagante, che ha spazzato via anche la resistenza di D’Alema e lasciata la Cgil in balia delle sue contraddizioni e limiti, sono i vertici istituzionali: il governo Letta e il Presidente della Repubblica Napolitano. Dico paradossale perché siamo in presenza di un governo centrista che attua politiche neoliberiste temperate e che non ha un grande consenso popolare, e un Presidente della Repubblica, il quale non brilla per le sue aperture a sinistra. Tentano con gli strumenti che hanno i centristi e muovendosi dentro le compatibilità europee d’innalzare una diga per la governabilità e la stabilità. Ci provano ma spesso le loro azioni determinano brusche accelerazione di crescita del populismo.. Sono però l’espressione di un personale politico che ha una strategia alternativa. Da qui il punto di rottura tra Alfano e Berlusconi e di collisione tra Letta e Renzi, nonostante le tante dichiarazioni di pace. Il tentativo di Letta, con il supporto del capo dello Stato, è di costituire un centro capace di contenere le spinte populiste più esasperate, mediante soluzioni di ingegnerie istituzionale che diano a quest’area una maggioranza parlamentare, anche se non nel Paese.  

In questo contesto, così ricco di contraddizioni e d’incertezze, la sinistra non c’è. È sconfitta e dispersa. Da qui l’urgenza di un nuovo soggetto politico di massa, unitario e plurale, della sinistra di governo. Un nuovo soggetto che riproponga la contraddizione capitale-lavoro e da qui riannodi il filo di un ragionamento per la trasformazione; che sia però per l’immediato pronto a lottare per garantire una vita democratica al Paese, impedendo che imbocchi strade pericolose. La nascita di un nuovo soggetto è dunque il compito prioritario di questa fase, di chi crede ancora nei valori inalienabili di cui la sinistra è storicamente portatrice.   

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