Renzi, una sfida a Grillo e uno sguardo al futuro

ROMA – Com’era prevedibile, di fronte all’Assemblea Nazionale che, a Milano, lo ha eletto segretario, Renzi ha fatto il Renzi. E forse, a voler essere sinceri, ha fatto bene a comportarsi così, interpretando il suo ruolo di Giamburrasca consapevole, lasciando a Cuperlo la parte dell’intellettuale che rivendica i valori della sinistra e a Letta quella dell’uomo di Stato che viene a indicare ai delegati del proprio partito la strada da percorrere per trasformare in realtà ciò che a molti sembra impossibile, ossia una pacifica convivenza con il dinamico neo-segretario del PD.

Il punto che non ci è chiaro, tuttavia, è un altro: cosa abbia in mente Renzi per innervare di contenuti questa coabitazione serrata; un rapporto umano e politico tra due soggetti che più diversi non potrebbero essere e che, per giunta, ambiscono a ricoprire lo stesso incarico.

Perché una cosa è certa: Renzi ha mille difetti ma non è affatto stupido. Il sindaco di Firenze sa bene, e lo sapeva già durante la campagna per le Primarie, che il suo vero avversario non è né Cuperlo né Civati né, tanto meno, quel D’Alema che oramai guarda il PD con gli occhi del padre nobile e l’Italia con quelli dello statista che non ha più nulla da chiedere alla propria gloriosa carriera. Il suo vero avversario si chiama Enrico Letta, ricopre il ruolo cui egli ambisce da anni e per il quale ha accettato, non senza perplessità, di lanciarsi in una sfida, quella della segreteria di un partito reduce dalla catastrofe dei centouno, che potrebbe esaltarne le doti migliori (la freschezza, la novità dell’immagine e l’abilità comunicativa su tutte) ma anche mettere a nudo la pericolosa carenza di contenuti e proposte concrete che si ostinano a contestargli i suoi detrattori. Sa, dunque, Renzi di non avere un minuto da perdere, anche perché la crisi sociale divampa, i Forconi, soprattutto nell’ala più oltranzista, minacciano marce su Roma e sfracelli d’ogni genere, la disoccupazione giovanile aumenta e il potere d’acquisto delle famiglie si riduce ogni giorno di più.

 

E allora attacca, dritto, a testa bassa, sferrando accuse micidiali a Grillo e lanciandogli una sfida che sa benissimo che non condurrà mai a nessun risultato effettivo ma gli serve comunque per galvanizzare la sua gente, per non farsi percepire come appiattito sulle larghe intese, per inviare un messaggio al Nuovo Centrodestra di Alfano e, naturalmente, per avvertire Letta su ciò che lo attende nei prossimi mesi.

Dopodiché, per fugare ogni dubbio sulla sua appartenenza allo schieramento di sinistra, rilancia un classico tema bersaniano quale lo Ius soli, trovando un modo elegante per ringraziare la ministra Kyenge per il sostegno offertogli nelle scorse settimane e tentando, in qualche modo, di instaurare una “connessione sentimentale” con chi non lo ha mai votato e lo percepisce tuttora come un corpo estraneo.

Fin qui tutto bene, ma i problemi iniziano adesso. Renzi, infatti, sa anche che l’unanimismo di ieri a Milano, rotto soltanto da alcune dichiarazioni di Civati, era più che altro di facciata; che fra coloro che lo applaudivano non tutti erano convinti fino in fondo della bontà delle sue idee e, soprattutto, che fuori da lì, da una platea tutto sommato amica o comunque non eccessivamente ostile, c’è un vasto mondo della protesta che si considera da anni senza rappresentanza, privo oramai di qualsiasi certezza e, pertanto, disposto a compiere qualunque gesto pur di far ascoltare la propria voce e far notare la propria sofferenza.

Per questo ci auguriamo che il nuovo segretario, a dispetto di un carattere non certo incline al dialogo e alla mediazione, sia invece in grado di guardare al futuro, di farsi carico del dolore, della rabbia e della disperazione che montano nel Paese, che sia in grado di approfondire e perfezionare la propria analisi del contesto sociale, che sia in grado di offrire risposte serie e non demagogiche alla richiesta sempre più forte di lavoro e dignità e, più che mai, che non pensi nemmeno per un istante di sfidare Grillo sul terreno che gli è più congeniale, quello del populismo, perché ciò favorirebbe il rinsaldarsi dell’involontaria unione d’intenti che si è venuta a creare fra l’ex comico genovese e Silvio Berlusconi, con conseguenze imponderabili per le sorti dell’Italia.

 

Per riuscire in quest’impresa, però, Renzi ha bisogno, in particolare, di scrollarsi di dosso i suoi principali difetti: l’eccessiva tendenza alla semplificazione del linguaggio e dei concetti, la vocazione rottamatoria che continua ad accompagnarlo anche se, ufficialmente, ha riposto in soffitta il termine e quell’aria scanzonata da ragazzo di Firenze che non ha niente da perdere e sfida l’apparato a mani nude che ha fatto la sua fortuna negli anni in cui le cose stavano effettivamente così ma che rischia di trasformarsi oggi nel suo capolinea politico se dovesse continuare a non rendersi conto che oramai gli alibi sono finiti e che nella stanza dei bottoni, al momento, c’è proprio lui.

Pertanto, se davvero vuole dar corpo alle sue ambizioni di leadership, deve uscire dal personaggio che lo ha visto protagonista fino allo scorso 8 dicembre e far tesoro dei preziosi consigli che gli sono giunti da due “grandi vecchi” quali Alfredo Reichlin e Pierluigi Castagnetti, i quali, rispettivamente su “l’Unità” e su “Europa”, gli hanno suggerito di entrare fin nelle pieghe più profonde di questo dirompente e, a tratti, devastante passaggio d’epoca e di non dimenticarsi mai del senso, dell’importanza e del valore della memoria storica e di coloro che hanno contribuito a scrivere le pagine più importanti del lungo percorso della sinistra italiana.

Perché oggi, caro Renzi, anche una leadership giovane e proiettata verso il futuro come la tua non può fare a meno di guardare negli occhi lo strazio di chi ha perso tutto, magari illudendosi che basti Twitter per entrare in sintonia con le difficoltà di chi fatica anche solo a immaginare un domani e non voltandosi mai indietro, come se nelle lotte di un Di Vittorio, nei princìpi morali di un Berlinguer, nella lungimiranza di un Moro o nell’europeismo di un De Gasperi o di uno Spinelli non fossero racchiuse tante delle passioni che la politica odierna non è più in grado di suscitare e tante delle risposte che non è più in grado di fornire. 

L’unico passaggio veramente incisivo, in tal senso, è stato quello di Gianni Cuperlo, capace di incarnare al meglio nel suo messaggio quella visione tipica della sinistra italiana per cui il compito della politica è portare avanti coloro che sono nati indietro.

E poi ce n’è stato un altro, ugualmente intenso e significativo, dedicato al valore dell’unità interna e alla necessità di ascoltare le voci della protesta che si sta sollevando dal Paese ma, al tempo stesso, di respingere con la massima fermezza qualunque deriva anarcoide e reazionaria. Peccato che lo abbia pronunciato Enrico Letta.

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