San Gregorio sparito. Come uccidere l’arte

SAN GREGORIO DA SASSOLA (ROMA) – La prima notizia in cui il paese venne chiamato con il nome di San Gregorio è dell’anno 1010. È riportata nel documento n. 200 del Regesto Sublacense. San Gregorio da Sassola ha perciò 1000 anni.

Una bella età che si porta assai male. Nell’ultimo mezzo secolo un bel po’ della sua storia è sparito per incuria, per furti, per malaffare, per disinteresse.

Si cominciò con la lottizzazione selvaggia del “Giardino dei Melangoli”, un parco cinquecentesco, con alberi secolari, giardini all’italiana, fontane e vasche. Tutelato dalla Soprintendenza, è sparito del tutto in una miriade di palazzetti brutti, vie anguste e buie. E un parcheggio, naturalmente. Il bel selciato in porfido e in pietra bianca del paese medievale è sparito per far posto ai cubetti minuscoli di porfido industriale. E sono sparite anche le pietre levigare in tutti i vicoli, prima seppellite sotto una colata di cemento, un’idea geniale di un sindaco, e oggi ripavimentati in pietra di Trani, che tutto c’entra tranne che con i materiali della zona. Nella chiesa di San Biagio sono spariti tutti i coralli, alcuni molto antichi, le catenine, e tutto il resto dei preziosi donati alla chiesa per ex  voto, dopo che il quadro della Madonna, oggi detta delle Grazie, cominciò a far miracoli. Nella chiesa di San Gregorio Magno sono spariti gli angioletti secenteschi che adornavano i due lucernari ai lati dell’altare. Poi è sparito il quadro di San Gregorio donato dal principe Brancaccio all’inizio del Novecento. E insieme a quello anche altri quadri. Il castello è stato spogliato e massacrato.

Oltre all’intera volta affrescata nella stanza cosiddetta della Musica, mancano all’appello un quadro di Andrea Appiani (un suo dipinto da Chistie’s è stato valutato € 700.00), un prezioso disegno del Seicento, diversi busti in gesso, tutte le statuine in alabastro che ornavano la cappelletta, una copia della “Sacra Sindone” in una cornice settecentesca, varie altre stampe, quadri e arredamenti vari, tra cui un enorme lampadario in cristalli alto circa 2 metri e largo altrettanti, una testa in marmo, un arazzo di 2 metri x 2 di Francesco Gay, pittore ottocentesco, due leoni in pietra che sostenevano una panca, e ultimamente anche una Cibele assisa tra due leoni, una scultura di un certo valore. Di quello che è successo al Borgo Pio, un gioiello di urbanistica unitaria del Seicento, non stiamo neanche a parlarne. Stuprato è l’unico termine adatto a descriverlo. E due parole su Piazza Padella bisogna spenderle. Edificata nel Seicento, il recente restauro ne ha fatto sparire la pendenza rendendo così impossibile osservarla nella sua intierezza. Per non dire del travertino inserito un po’ a casaccio dallo sconosciuto progettista del restauro. E non diciamo nulla delle orride saracinesche in ferro piazzate poi qua e là al posto dei portoncini. Vogliamo parlare di Piazza Brancaccio? No, meglio di no. Il materiale usato è quello che è, più economico non si trovava, si è creata una gobba enorme al centro della piazza che prima non c’era, e il disegno a terra per l’unione dei diversi materiali usati sembra fatto da un ubriaco. Però, almeno il Monumento ai Caduti poteva essere lasciato così come il costruttore lo aveva pensato, e non ingabbiato come se desse fastidio.

Così come è meglio tacere delle condizioni in cui versa la Villa Comunale, un tempo “Giardino dell’Acqua”. Sono crollate diverse sostruzioni in tufo inserite nel Seicento, che hanno resististo a 350 anni ma non agli ultimi dieci. Al Ninfeo, tra le due fontane, sono sparite una base di colonna e la base di una statua di Pan, di cui rimanevano il piede, la gamba e il tronco di una palma. Alla Madonna della Cavata stanno sparendo gli affreschi cinquecenteschi (1546) del Giudizio Universale, una copia coeva del Giudizio di Michelangelo alla Cappella Sistina. Buon Millennio, San Gregorio.

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