“Com’è importante la scuola quando si incontrano docenti motivati…”
ROMA – Eugenio Murrali nel suo blog si descrive così: “Quando i miei genitori mi hanno catapultato in questo comicissimo mondo era il 1985, a Roma era persino nevicato, ma io ho deciso che fosse meglio nascere in primavera. (…) Sono stato otto anni a scuola dalle suore tedesche: al contrario della maggior parte di chi va da preti e monache, io le adoravo, anche se non ci insegnavano il tedesco (che m’avrebbe fatto tanto comodo) e non sapevano bene l’italiano”.
Laureatosi in Filologia Classica e in Antropologia dell’Antichità, grande amante del teatro, Eugenio Murrali per il suo dottorato alla Sapienza e all’EHESS ha scritto una tesi sull’Edipo re di Sofocle. Con Rizzoli, ha recentemente pubblicato “IL SOGNO DEL TEATRO Cronaca di una passione”, colloquio con Dacia Maraini e con i massimi esponenti del teatro italiano degli anni settanta, inedito studio su una precisa generazione di artisti, libro al quale Dario Fo ha scritto la prefazione. In questa intervista Eugenio Murrali racconta ai lettori di Dazebao la sua amicizia con Dacia Maraini, le sue passioni, le sue speranze per il futuro.
D. Come è avvenuto l’incontro con Dacia Maraini?
E. M . Ho visto la prima volta Dacia nell’estate del 2003. Da qualche giorno avevo passato la maturità, che già allora si chiamava poco poeticamente esame di Stato, e la mia insegnante di teatro, l’attrice Marina Zanchi, mi invitò ad assistere allo spettacolo Un tagliatore di teste a Villa Borghese. Il Comune aveva chiesto a Dacia di scrivere questo testo per celebrare l’apertura al pubblico del bel parco romano e così il regista Hervé Ducroux, con un gruppo di bravissimi attori, tra cui Milena Vukotic e Ninetto Davoli, allestì questo spettacolo profondo ed evocativo sul laghetto di Villa Borghese. Ho un ricordo magnifico di quella serata, alla fine della quale Marina, che aveva recitato in Storia di Piera, mi presentò quella scrittrice che ammiravo. Quella volta però, in realtà, le ho solo stretto la mano. Anni dopo la Maraini è venuta all’Università di Tor Vergata per un incontro con gli studenti e una mia amica amatissima che purtroppo non c’è più, Roberta Morelli, mi propose di partecipare insieme a questo dialogo. Io studiavo lettere antiche e scoprii in quell’occasione che Dacia aveva scritto un testo, I sogni di Clitennestra, ispirato all’Orestea di Eschilo. Quando nel 2008 l’italianista Laura Vitali mi ha chiesto un breve saggio sulla fortuna del classico, io ho scelto di occuparmi di quell’opera drammaturgica. Il caso ha voluto che Dacia capitasse a Parigi mentre io ero lì e preparavo questo contributo. Sono andato allora ad assistere a un suo incontro pubblicoe le ho dato una bozza del mio articolo. Il giorno dopo ho ricevuto una telefonata, mi invitava a cena per riflettere insieme su quel che avevo scritto.
D. E stato difficile essere a tu per tu con una maestra?
E. M. Non è mai semplice il rapporto con le Maestre e i Maestri, si ha spesso paura di deluderli, di apparire inadeguati. Devo confessare però che io cerco sempre di restare, per quanto possibile, me stesso. Certo, all’inizio la soggezione c’era, ma Dacia sa favorire dialoghi armonici con le persone, sa ascoltare quelli che le sono di fronte senza traumatizzarli con vezzi da celebrità o con la sua cultura sterminata. Quando poi la stima reciproca si è consolidata, l’amicizia rispettosa e sincera nata tra noi è diventata centrale anche rispetto al rapporto allievo-Maestra e questo mi ha permesso di guardare al modello che lei rappresenta per me con maggiore serenità, in una dimensione meno “accademica” e più umana. Le devo moltissimo. Non solo per tutto quello che ho imparato e continuo a imparare quando ci capita di andare a teatro insieme, di discutere di libri, di stile, le devo tanto perché la sua amicizia costante mi migliora come persona.
Come è nata l’idea di scrivere “Il sogno del teatro”?
E. M. Ho passato circa tre mesi a studiare i suoi testi teatrali e a preparare le domande per quella che doveva essere un’intervista di due ore e che invece si è trasformata in una ricerca di quattro anni. In effetti erano ventitré pagine di domande. In un primo momento Dacia era perplessa, perché ha tantissimi impegni e il tempo non è mai sufficiente. Quando però ha capito che dietro c’era molto lavoro e che poteva diventare davvero un dialogo utile a tutti coloro che si interessano alla sua opera drammaturgica, allora anche lei si è appassionata all’impresa e per sei mesi ha lavorato duro per rispondere a tutti i miei interrogativi. Davvero anche la pazienza è una delle sue virtù.
D. La tua passione per il teatro è nata con Dacia o era preesistente?
M. No, io questa malattia grave del teatro dovevo averla un po’ nel sangue, ma si è manifestata in particolare durante gli anni del liceo, quando poi ho appunto incontrato Marina Zanchi e Giuseppe Argirò, miei insegnanti al laboratorio teatrale del Tasso di Roma. Altre due persone importantissime per la maturazione di questa mia urgenza interiore sono state la mia insegnante di francese Mariella Bruni, che mi ha fatto conoscere e amare Molière, e la professoressa Rosa Munafò, che mi ha consigliato il più bel teatro e il più bel cinema di quegli anni. Com’è importante la scuola, quando si incontrano docenti motivati e preparati. Dacia mi ha poi insegnato moltissimo sulla drammaturgia, la più difficile di tutte le forme di scrittura.
Il lavoro preparatorio alle interviste ti ha impegnato molto?
E. M. Quando il lavoro di ricerca si è allargato anche a molti artisti che hanno collaborato con Dacia in ambito teatrale, certamente ho dovuto studiare parecchio per poter guidare al meglio i miei dialoghi con loro. Tutto era complicato dal fatto che mentre scrivevo il libro, preparavo anche la mia tesi di dottorato. È stato impegnativo, non posso negarlo, ma quando si studia e si lavora con felicità tutto sembra meno faticoso.
Un’esperienza ricchissima la tua, hai incontrato gli esponenti più importanti di una generazione teatrale…
E. M. Sì, sono stato fortunato. Grazie a questo libro ho potuto assaporare la grande stagione teatrale degli anni Settanta, ad esempio, e sono entrato in tale empatia con i miei illustri interlocutori, che oggi provo una curiosa forma di nostalgia per un’esperienza, quella dell’avanguardia romana, che pure non ho vissuto in prima persona.
Quale segno importante ha lasciato in te questa esperienza?
E. M. Ha lasciato tanti segni, quasi tutti positivi. Se dovessi riassumere il tutto in una parola direi che la cosa più importante che ho imparato è l’ascolto. Ho capito che per poter essere dei bravi cantastorie della contemporaneità non si può far all’altro che mettersi alla scuola dell’ascolto. Prima della parola viene il silenzio, ma un silenzio ricettivo, che può essere quello della lettura o quello, per certi versi ancor più ricco, dell’attenzione verso ciò che gli altri hanno da dire. Un’altra eredità importantissima è la mia amicizia con Piera Degli Esposti, un’attrice, una persona, un tabernacolo del talento e della diversità da cui c’è tutto da imparare.
Ci sarà un seguito a questa ricerca?
E. M. Credo che presto, se l’editore vorrà, sarà opportuno iniziare a lavorare a una seconda edizione, perché in due anni Dacia ha già scritto almeno altri quattro testi teatrali. Ci sarebbe poi tutto un lavoro sulle critiche da svolgere, magari dedicando delle monografie ai testi più importanti, come ad esempio Maria Stuarda. Mi piacerebbe anche inserire altre testimonianze, perché alcune persone potrebbero dire ancora molto sul percorso drammaturgico marainiano. Al momento però sto preparando un altro libro su Dacia che poco ha a che vedere con il teatro.
D. Cosa ti auguri di fare da grande?
E. M. Tante cose. Sto tentando la strada del giornalismo, amo in particolare le tematiche culturali e sociali. Certo, la critica teatrale resta una delle mie passioni predominanti. Come per molti della mia generazione, il futuro è ancora tutto da scrivere, ma scrivere, per fortuna, è la cosa che mi piace di più.