“Vincenzina, mi chiamo Vincenzina”: Libera Dolci, figlia di Danilo, fa un ritratto della madre

Nata al Borgo di Trappeto (PA) dove suo padre e i suoi imprescindibili collaboratori avevano organizzato un centro dove studiosi internazionali e gente del luogo, nessuna voce esclusa, potessero confrontarsi, alla ricerca di uno sviluppo creativo aperto al mondo, oggi sempre al borgo – nel solco dell’insegnamento paterno – Libera Dolci dedica buona parte del suo impegno educativo e formativo rivolto alle diverse fasce di età. 

Fra i principali interessi la relazione educativa anche attraverso la scrittura, la lettura ad alta voce e la musica. Nel corso degli anni numerose le iniziative condotte in questi ambiti. Ha conseguito il diploma Counselor presso l’Istituto Mercurius di Firenze e ha frequentato la Libera Università dell’autobiografia di Anghiari (Ar) acquisendo la qualifica di esperta in scrittura e metodologia autobiografica.

È coordinatrice dell’università popolare Danilo Dolci di Trappeto e collabora con la società Borgo Danilo Dolci per contribuire alla rinascita del Centro di Formazione di Trappeto.

Libera Dolci nel libro corale e autobiografico edito da “Libreria Dante e Descartes”, dal titolo “Vincenzina, mi chiamo Vincenzina” risponde a una domanda che fino ad ora era stata inevasa: il ruolo di moglie accanto a un uomo dalla personalità così carismatica poteva essere sostenuto da qualsiasi donna? Sappiamo che Vincenzina Mangano è stata la compagna con la quale Danilo ha vissuto più a lungo, che lo ha affiancato nelle stagioni più intense della vita, che gli ha dato cinque figli. 

Come e perché si sono incontrati questi due caratteri? Come si sono scelti? Com’era la loro vita privata? Domande che, al di là dell’immagine pubblica di Dolci, scendono nell’esperienza quotidiana e approfondiscono la figura di Vincenzina Mangano, finora rimasta in ombra, completando anche quella del marito negli aspetti più intimi e non per questo meno importanti.

Il libro di Libera Dolci è importante perché illustra la vita dei protagonisti, a partire da sua madre, nelle piccole cose, senza quel tanto di agiografia e retorica che purtroppo è il limite di molte biografie. Persone vive, normali, inconsapevoli di quello che oggi viene chiamato “grande” che, non senza sofferenza, hanno cercato il modo di avere rapporti umani migliori, non sempre riuscendoci, ma sempre aspirandovi con onestà.

 “Vincenzina mi chiamo, Vincenzina” – parole della madre dell’autrice per sottolineare, a chi la chiamava signora, la sua vicinanza affettiva – è lo specchio di una donna che ha vissuto in maniera straordinaria nel dolore e nella gioia, la storia di una famiglia che ha cercato di valorizzare la vita.

Sposa a quattordici anni, madre di cinque figli, prima ancora dei cinque di Danilo, vedova a trenta. Vincenzina Mangano veniva dal luogo e dalle esperienze che Danilo aveva scelto per dare senso al suo passaggio. Alto, occhi azzurri e gravi, guardandoti serio Danilo sapeva incutere soggezione ma non poteva non rivelare quella tenerezza, quella capacità di capire ed empatizzare, che ne ha fatto un grande uomo. 

 Dal libro di Libera Dolci questo sentimento traspare come sintesi dell’amore nella coppia, da una parte colui che ha aiutato Vincenzina a crescere, dall’altra lei che gli ha dato tutta sé stessa: in una parola reciproca abnegazione. Bisognava essere personalità particolari? Si. Bisognava dedicarsi l’uno all’altro, cosa che non sempre accade. Per essere sicura di aver scelto il sostantivo giusto specifico che abnegazione vuol dire: “La disposizione spirituale di chi rinuncia a far prevalere istinti, desideri, interessi personali, per motivi superiori “.

Libera Dolci

Vincenzina, mi chiamo Vincenzina

Libreria Dante e Descartes

Euro 18

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