ROMA – E’ Shoot4Change ad ospitare il 22 maggio la presentazione a Roma di ‘We, Prato’, il progetto fotografico e di ricerca sociale di Francesco Arese Visconti, promosso dalla Webster University di Ginevra, su un tema sociale finora poco approfondito: quello dell’integrazione dei figli degli immigrati cinesi in Italia (la cosiddetta seconda generazione), e del loro rapporto con i coetanei di origine italiana.
La Chinatown di Prato – che insieme a quelle di Roma e Milano è la più grande ed importante in Italia – fa così da cornice a una serie di ritratti fotografici di 16 ragazzi under 29: la particolarità è che i volti dei soggetti ritratti sono nitidi, mentre il contesto è sempre fuori fuoco, grazie alla tecnica di Scheimpflug che con macchine fotografiche di grande formato permette di mettere a fuoco solo alcune aree dell’immagine. I ritratti sono in bianco e nero secondo le tecniche fotografiche tradizionali su pellicola ai sali d’argento successivamente stampata su carta baritata in camera oscura
Agli scatti si accompagna una ricerca psicosociale che si compone di interviste sul senso di appartenenza e di identità delle nuove generazioni, e di un reportage video.
Il progetto, da cui è nato anche l’omonimo libro edito dalla Edizioni Sui, è stato in mostra a Ginevra per poi rientrare nel filone di ricerca sociale della Webster University – della quale Arese Visconti è docente – che porta il nome di ‘Hidden Identity Project – The Italian-Chinese community in Prato’.
Il lavoro dimostra come i figli degli immigrati cinesi sognano un futuro diverso e si impegnano per riuscire a costruirlo. Se le prime generazioni di immigrati scelgono di aprire quelle attività commerciali che vengono ormai inevitabilmente associate alle comunità cinesi – anche in forte contrasto con il tessuto produttivo tradizionale italiano – , i figli degli immigrati, spesso più integrati, escono dal gruppo alla ricerca del proprio ruolo del mondo, anche rifiutando di contribuire all’impresa di famiglia.
Studiano in italiano, parlano l’italiano, mangiano italiano. Nella maggior parte dei casi i ragazzi cinesi nati a Prato (così come in Italia, e in Europa) si sentono a casa.
‘We, Prato’ è così una narrazione visuale del processo di integrazione tra culture, che nell’epoca della competizione-contaminazione globale avviene molto più velocemente rispetto al passato.
E se non contribuisce a sfatare i pregiudizi secondo cui i cinesi sono tutti uguali e – fatto ancora più strano – non muoiono mai, ne mette sicuramente in dubbio altri, per i quali i cinesi sono ovunque, sono un gruppo chiuso e non solo: non vogliono imparare la nostra lingua, vengono in Italia, si arricchiscono e poi tornano a casa.