Intervista a Federica Pirani alla guida del nuovo Polo dei Musei di arte moderna e contemporanea
«Spero nel rapporto con il privato per acquisire nuove opere. Intanto 12 storici dell’arte assunti in Sovraintendenza»
ROMA – La lacuna del Macro è sanata: finalmente il museo comunale del contemporaneo ha una nuova direttrice. Federica Pirani, assumendo la guida del nuovo Polo dei Musei di arte moderna e contemporanea creato dall’assessora alla Cultura, Giovanna Marinelli, ha preso infatti le redini anche del museo di via Nizza e della sua sede distaccata a Testaccio.
La nuova direttrice, finora coordinatrice del servizio programmazione delle mostre e delle manifestazioni culturali per la Sovraintendenza capitolina, tra gli altri compiti ne ha uno assai arduo: rianimare il Macro, “malato grave” di quest’ultimo anno e mezzo. Della sua situazione abbiamo parlato tanto. Il museo ha attraversato una stagione travagliata, ed è senza una guida da più di un anno. E alla gestione dello sfortunato museo, che non molto tempo fa rischiava addirittura di chiudere, si aggiunge quella di altri due musei: Palazzo Braschi e Galleria civica di arte moderna.
“ArteMagazine” ha incontrato Pirani che, in anteprima, racconta i progetti per il Macro e quelli per l’intero nuovo Polo museale.
Il Macro nell’ultimo periodo se l’è vista brutta e, nonostante la sua carica non riguardi soltanto la direzione del museo ma l’intero Polo dei Musei di arte moderna e contemporanea, non si può non avere un occhio di riguardo nei sui confronti. Che progetti ha?
«La prima novità è che il Macro torna a far parte dei musei civici di Roma Capitale, e nel nuovo Polo dei Musei di arte moderna e contemporanea il fulcro principale, oltre al Museo di Roma in Palazzo Braschi, è sicuramente il Macro. Tra pochissimi giorni poi arriveranno 12 storici dell’arte assunti con concorso dalla Sovraintendenza, quindi fissi e interni. Ho molta fiducia nel contributo che daranno alla vita dell’intero Polo museale».
Come interverrà sulle lacune formatesi?
«Quello che voglio fare è ridare al Macro l’identità di museo che si è andata perdendo. Ha una collezione importante che si può esporre a rotazione. E spero di avere dei rapporti fruttuosi con il mondo privato, con le banche, le fondazioni e i collezionisti per avere anche opere in comodato. In questo senso l’operatività del Mart di Trento è esemplare. Per prima cosa faremo conoscere la collezione permanente del Macro e lavoreremo per acquisire altre opere. Ma dobbiamo anche essere concreti e sappiamo quanto è difficile poter acquistare o intervenire su delle lacune. Però con l’apporto di tutti e con strumenti come le donazioni, il comodato e l’Art Bonus credo si possa fare. La collezione intanto sarà esposta attraverso mostre temporanee, però un nucleo forte della collezione va ripresentato».
Qualche progetto particolare è stato già messo a punto?
«Abbiamo in mente diversi percorsi che riguardano in primis il Macro ma che ancora non posso annunciare. Non dimentichiamo che il Macro è un museo incardinato all’interno della Sovraintendenza, e questo gli permette di avere scambi molto importanti a livello internazionale. Posso dire che vogliamo proseguire sulla strada tracciata con l’operazione virtuosa realizzata con la mostra Gemme dell’Impressionismo all’Ara Pacis: abbiamo esposto le opere della National Gallery di Londra dando temporaneamente in cambio alcuni capolavori dell’archeologia: la stessa modalità si può proporre con l’arte contemporanea. Il sovraintendente Claudio Parisi Presicce sta lavorando anche su questo, soprattutto con numerosi musei statunitensi. Comunque in primavera apriremo con una mostra dedicata a Toti Scialoja».
Fino alla costituzione del nuovo Polo museale si era anche parlato di accorpare il Macro al PalaExpo, che fine ha fatto il progetto?
«Sì se ne era parlato ma per ora non è in agenda».
Il rapporto con Zètema resterà invariato?
«Sì, e sappiamo che riguarda i servizi aggiuntivi. Ci sarà un nuovo contratto e lo stiamo rielaborando».
Ultimamente si è parlato della volontà di svincolare almeno in parte il Macro dalla Sovraintendenza comunale e renderlo più autonomo. È così?
«Di questo non ho conoscenza, con la Marinelli non ne abbiamo ancora mai discusso. Il tema riguarda un po’ quello che sta succedendo a Venezia ma anche a Torino: far sempre di più rete piuttosto che fare dei satelliti o dei pianeti indipendenti. Non so se Marinelli abbia l’intenzione a rendere autonomo il polo, le direi cose imprecise. Al momento il disegno è quello di aggregare, fare sistema».
In questo c’è anche l’idea, cara a Marinelli, di collegare centro e periferia?
«Voglio che il Macro diventi un luogo di dialogo interculturale, di coesione sociale, di inclusività. Lavoreremo su progetti che pongano in dialogo la creatività del centro e quella della periferia romana. È anche quello che prevede il programma che era stato messo a punto dall’amministrazione e che è stato confermato, perché la continuità dell’azione amministrativa va preservata.
A proposito di internazionalità, si potrebbe pensare che la volontà dell’assessorato di fornire al Macro aspirazioni internazionali sia in conflitto con la sua nomina, che potrebbe essere un po’ troppo “locale”.
«Penso di aver avuto delle importanti esperienze internazionali sia per ciò che riguarda il mio studio personale che professionalmente. Sicuramente il mio profilo è più da storica dell’arte che non da critica di arte contemporanea, ma credo che per questo ruolo contino anche la conoscenza non solo del Macro e del mondo dell’arte contemporanea, ma anche della storia dell’arte del Novecento e degli strumenti di gestione della conoscenza dei musei comunali. E questo ha contato nell’aver scelto il mio profilo. Non si trattava di scegliere il direttore del Macro e basta, è un discorso di sistema. E poi ho lavorato in Francia per diversi mesi, in gemellaggi Roma-Parigi, e con mostre importanti, non ultime quelle su Cartier Bresson realizzata con il Centre Pompidou, e quella sull’Impressionismo, o quella sulle Avanguardie».
Da tempo l’area che è alle spalle della Galleria civica di Arte moderna, di proprietà dell’Ama, non è sfruttata. C’è un’idea per rilanciare questo spazio?
«È un progetto che mi sta particolarmente a cuore e in cui credo moltissimo. Il Comune ha riacquisito tutta l’area che era stata venduta all’Ama. Ora è completamente di proprietà comunale, per cui può partire il progetto che stiamo già mettendo appunto con l’assessorato all’urbanistica di rigenerazione e ritessitura. Una riqualificazione non soltanto urbanistica, con l’abbattimento del Padiglione Piacentini e la ricostruzione di un’ala del museo dedicata alle mostre temporanee, ma la riconversione di tutta l’area che fino ad oggi è un parcheggio ma che invece potrà ospitare eventi di arte pubblica. Un ingrandimento del museo e sottolineo che potremo avere una Galleria d’arte moderna dedicata al Novecento e al piano terra si potrà vedere un mosaico che è stato ritrovato nella zona, un mosaico policromo di una domus repubblicana. Un unicum in tutto il mondo».
Quindi una “contaminazione” tra arte contemporanea e archeologia.
«Esattamente. Nella zona della collina di piazza di Spagna e via Sistina, negli ultimi anni è emerso un ampio tessuto archeologico per cui si potrebbe fare una passeggiata archeologica nel centro di Roma guardando insieme all’arte del Novecento. E non è un sogno. Perché il finanziamento di questo progetto di recupero ambientale e piano urbanistico può essere a costo zero per l’amministrazione che, attraverso il project financing, potrebbe dare a un privato la possibilità di edificare sulla parte di via Zucchelli. Sono dei ruderi ma è una zona edificabile, e con il ricavato costruire e rimettere in sesto la zona. Come dice Renzo Piano ritessere la slabbratura che c’è al centro Roma. Un progetto complesso ma fattibile e di grande qualità. Da quando abbiamo riaperto stiamo facendo una politica di mostre temporanee della collezione permanente perché lo strumento della mostra è molto comunicativo. Ma vogliamo avere anche un padiglione come è nel progetto dell’assessorato all’urbanistica: tre piani dai quali si vedano gli scavi, che sarebbero accessibili. Immagino anche uno spazio di ristoro all’interno della piazza pedonale, con delle sculture di arte contemporanea, con vicino Gagosian e la Galleria Il Segno (da poco trasformata in Francesca Antonini Arte Contemporanea). Per la zona un giro virtuoso.
Che cosa ci si aspetta concretamente dal nuovo sistema Braschi-Macro-Gam?
«Per ora ci aspettiamo di fare sistema: mettiamo in sinergia tutto quello che abbiamo, soprattutto per quanto riguarda le collezioni. La sinergia può avvenire proprio per questa vicinanza e reciprocità presente tra le collezioni permanenti, poi ogni museo ha la sua vocazione che esaltata nella differenziazione dell’uno con l’altro».
I musei del polo sono una rete ma ognuno di loro seguirà la sua specifica vocazione. Il Macro avrà una gestione mirata più volta alla ricerca e all’attività che non alla conservazione e alla valorizzazione?
«Tengo molto al fatto che venga ribadita l’identità di Museo del Macro, quindi entrambe le attività saranno presenti e si integreranno. E spero in un rapporto virtuoso tra pubblico e privato in modo che si possano avere donazioni, comodati, convenzioni. Ci saranno ricerca e pura contemporaneità, soprattutto investendo su Testaccio, ma sarà anche un museo dell’arte contemporanea».
E le residenze d’artista?
«Quella delle residenze d’artista è stata un’ottima esperienza che va potenziata e va fatta una riflessione su come portarle avanti. È un intreccio che investe sulla creatività giovanile e va indissolubilmente legato alla realtà del Macro Testaccio, potenzialmente di grande espansione che bisogno di essere ordinata. Su quell’area insistono molti aspetti della creatività contemporanea, pensiamo non solo ai padiglioni del Macro ma alla scuola di testaccio, alla Pelanda, all’Accademia, alla facoltà di Architettura. Va tutto messo in rete e l’assessore ha un interesse preciso a far si che questa potenzialità venga espressa al meglio».
Articolo pubblicato su Dazebaonews.it e Artemagazine.it