Nel cinema italiano, ma anche altrove, un seno abbondante se armonioso è sempre stato la fortuna delle nostre attrici.
Gli esempi non mancano: uno per tutti, Sophia Loren, una bellezza che tutto il mondo ci ha invidiato, un fisico sul quale la macchina da presa non aveva che l’imbarazzo della scelta: capelli leonini, occhi smaglianti, bocca invitante, gambe da Blue belle, un fisico statuario da concorso di bellezza, ma soprattutto un seno caravaggesco che migliaia di immagini hanno giustamente celebrato sulla pellicola di decine di film importanti, sulla copertina dei rotocalchi, in televisione.
Sophia e le altre (Lucia Bosè, Silvana Pampanini, Silvana Mangano, più tardi Maria Grazia Cucinotta) sono state “le maggiorate”, una categoria del cinema italiano come le definì Vittorio De Sica. E fra le ultime Sandra Milo.
E’ morta nel suo letto in una casa d’affitto, lei che aveva guadagnato moltissimo ma che molto aveva regalato a chi aveva meno, sulla soglia dei novant’anni circondata dall’amore dei figli per i quali si era sempre prodigata.
Era nata a Tunisi da genitori siciliani colà emigrati (quando eravamo noi italiani a varcare quel tratto di Mediterraneo per cercare fortuna in Africa), è stata un’attrice di grande popolarità ma il cinema, e anche la vita privata, non sono stati generosi con lei.
Avrebbe meritato di più, ruoli meno frivoli, amori meno inconcludenti, un’immagine di sé che non fosse soltanto da maggiorata.
Era bellissima: quattro matrimoni andati a male, passioni importanti ma senza sbocco (si è sempre detto di Federico Fellini e di Bettino Craxi), un destino fatto di alti e bassi che pure non ha scalfito un carattere volto tutto al positivo: non la sentivi mai lamentarsi, per lei tutto era bello: il clima, l’ambiente, la città, la gente, il cinema, la televisione.
Perfino quando fu stroncato dalla critica il film di Roberto Rossellini di cui era protagonista, Vanina Vanini – e si sentì ribattezzata “Canina Canini” da un press agent particolarmente caustico, Enrico Lucherini – riuscì a non prendersela anzi arrivò a riderci sopra.
Giustamente ha avuto un funerale in Campidoglio, come i grandi in ogni campo che Roma vuole onorare, lei che aveva sempre rifuggito la ribalta della notorietà fine a se stessa.
Aveva una vocina infantile, da bambina che molti hanno pensato fosse un’auto-caricatura e invece era la sua caratteristica d’attrice brillante.
Nel 1964, per interpretare La visita che Antonio Pietrangeli trasse da un racconto di Carlo Cassola, sceneggiato da Ettore Scola, in un ruolo drammatico e intenso, fu doppiata, ma più tardi Fellini quando la volle in Otto e mezzo e Giulietta degli spiriti le lasciò la sua vocina sottile che era tanta parte del suo fascino di diva-antidiva.
Non sembri una contraddizione: si può apparire diva senza esserlo, gli esempi non mancano, e anche l’esatto contrario. Nei giorni della sua improvvisa scomparsa (l’abbiamo vista in tv non più di tre giorni fa) sono tornati sul video i suoi primi film quando non era ancora l’anziana che le rubriche televisive di gossip ci hanno proposto per anni, ma una bellissima ragazza dallo sguardo intenso su un volto interessante.
Giusto che allora fosse popolarissima. Il décolleté che l’avrebbe imposta agli sguardi del pubblico ha poi fatto il resto.
Un ultimo ricordo: uno dei suoi quattro mariti, un produttore greco che aveva le mani pesanti, non voleva che facesse l’attrice. E glielo ripeteva spesso accompagnando le parole con gli schiaffoni (memorabile una lite coniugale sul set a Villa Borghese davanti ai fotografi che riempì i rotocalchi). Ma anche quella volta, guardando l’obiettivo, Sandra Milo seppe sorridere.