Il 1° dicembre Woody Allen ha tagliato il traguardo dei novant’anni. “Un giorno come un altro” ha risposto all’intervistatore che gli chiedeva come avrebbe festeggiato un compleanno tanto importante.
Senza un’ombra di sorriso sul volto emaciato, il regista americano di tanti esilaranti film che hanno conquistato le platee, più quelle europee che quelle di casa, non sembra felice dell’occasione. Una battuta fra le tante che da anni gli attribuiscono i giornali, “La vecchiaia è una brutta cosa, ma l’alternativa è peggio”, sembra che Woody Allen non l’abbia mai pronunciata, ma ormai l’ha fatta sua.
Lui da giovane aveva cominciato a lavorare nel mondo del cinema scrivendo le battute per i comici già affermati, e se gli chiedi se oggi c’è qualcuno che ne scrive per lui, ti risponde: “Oggi nessuno mi chiede più nulla: la televisione non mi cerca, farei volentieri un film ma nessuno sembra disposto a tirare fuori i capitali, ho pubblicato un libro ma non ho ancora incontrato qualcuno che lo abbia letto”.
Del libro Allen parla volentieri, per tutto il resto gli devi tirare fuori le risposte con le pinze, tanto è reticente.
– Cosa pensa dell’America di Trump?
“Sono democratico e ho votato per Kamala Harris. L’America è una democrazia, spero che alle prossime elezioni la gente sceglierà con più saggezza”.
Eduardo avrebbe detto “A da passà ‘a nuttata”.
Una cosa l’ha fatta quasi per festeggiare il suo compleanno: ha scritto un romanzo. Dopo aver scritto per tutta la vita, aver diretto decine e decine di film, a 90 anni ha fatto il suo debutto come romanziere: Che succede a Baum?, edito in Italia dalla Nave di Teseo. Se l’intervistatore, una categoria che non ama e che nemmeno detesta ma sopporta con rassegnazione, gli chiede a bruci pelo: “Che succede a Woody Allen?” lui anticipa:
“Non a me, deve chiederlo, ma Che succede a Baum?”, un personaggio dietro il quale in filigrana non è difficile riconoscere lo stesso autore. Che spiega:
“ Baum è un giornalista ebreo di mezza età e sull’orlo della depressione che si trova a vivere un’esperienza che non aveva previsto: l’incontro con una bellissima ragazza che sembra avere per lui oltre a grande ammirazione anche un indubbio trasporto. La ragazza purtroppo è la fidanzata del figlio (“figliastro” tiene ogni volta a precisare Baum) e quindi ogni tentazione è vana. A meno che non succeda qualcosa di travolgente. Che, come in tutti romanzi che si rispettano, puntualmente avviene”.
Ma qui l’autore si ferma, non aggiunge altro, sa che la curiosità del lettore non va tradita, e il finale rimane sospeso. Un bel esordio, non c’è che dire, per un romanziere dilettante come Woody Allen. Anche se a leggere il suo libro è come andare al cinema a vedere un suo film, i personaggi sono quelli di sempre, l’atmosfera della grande città americana è la stessa, l’umorismo immancabile. Un film, oh pardon, un libro da non mancare.
Ma il cinema resta la sua passione.
“Ho un paio di idee per un film che vorrei girare in America. Ma è un problema di soldi: avrei bisogno di almeno quindici milioni di dollari, una miseria per gli standard di oggi, ma è difficile ottenerli”.
– Girerebbe un film in Russia?
“No davvero. Non conosco bene i luoghi, hanno suscitato polemiche certe mie dichiarazioni sul cinema russo, ma dopo l’attacco all’Ucraina non potrei farmi sopraffare dal predominio bellico. Come non farei un film su Trump: non sono un regista politico, e non intendo occuparmi di una politica che cambia di giorno in giorno. E’ meglio lasciarla alla satira televisiva”.
Detto da lui, che di satira se ne intende, è la lapidaria conclusione di un discorso sul disincanto di una vita trascorsa a far ridere gli altri, ma con la maschera del clown triste. Sarebbe piaciuto a Buster Keaton.



