Teatro dell’Orologio. Tutti i padri vogliono far morire i loro figli, dal 12 marzo al 3 aprile

“Riassumiamo: i padri vogliono far morire i loro figli (perciò li mandano alla guerra)” [Pier Paolo Pasolini, Affabulazione. Roma 1966]

ROMA – Debutta in prima nazionale lo spettacolo Tutti i padri vogliono far morire i loro figli, della compagnia CK Teatro, testo di Fabio Morgan e Leonardo Ferrari Carissimi, che ne cura anche la regia, liberamente ispirato ad Affabulazione di Pier Paolo Pasolini. In scena, dal 12 marzo al 3 aprile nella Sala Orfeo del Teatro dell’Orologio, Irma Ciaramella, Anna Favella, Chiara Mancuso, Luca Mannocci e Mauro Santopietro.

Lo spettacolo narra le vicende di una famiglia, e dell’incontro-scontro di un padre con suo figlio. L’ambientazione è l’epoca moderna, ma una modernità che si pone come lettura di un presente che poggia le sue basi su nuovi archetipi. Proprio per questo si è sentita l’esigenza di prendere spunto dalla struttura narrativa di Affabulazione ma di mutarne completamente i contenuti; infatti mentre il testo di Pasolini iniziava con un coro tragico rappresentato dalla figura di Sofocle, nella riscrittura di Tutti i padri vogliono far morire i loro figli il coro sarà rappresentato dall’ombra di Pasolini, e l’archetipo che narrerà non saranno le vicende tragiche e mitiche di Edipo, ma il racconto del ’68! Proprio i temi del ‘68 costituiscono la cornice entro la quale tutti personaggi agiranno. Le tensioni tra i vari personaggi saranno provocate da una divergente lettura di questi temi che procurerà ferite insanabili soprattutto tra le due figure chiave dello spettacolo: il padre e il figlio.

Siamo in una casa al mare, una casa da buona famiglia borghese, dove vivono un ragazzo con sua madre. L’azione dello spettacolo ha inizio con il ritorno del padre, dopo quindici anni di silenziosa assenza. Un padre che dichiara di essere molto malato, e che prima di morire vuole ricucire il rapporto con suo figlio, che in realtà non ha mai conosciuto. Il padre ci appare come un uomo dal grande vissuto, che ha sempre preferito la libertà alle responsabilità, e che grazie al suo lavoro, fotografo, si è trovato spesso a vivere i momenti più importanti della storia degli ultimi trent’anni. Lui, fiero protagonista del ’68, animato dagli ideali libertari, si troverà a scontrarsi ferocemente con suo figlio, al quale il padre appare come un bambino mai cresciuto che nella vita ha goduto di situazioni estremamente privilegiate e di cui lui, figlio, in qualche modo paga ancora le conseguenze. Nella dialettica tra questi personaggi e nelle istanze che essi rappresentano sta il nucleo di questa tragedia moderna, che ci appare come un infinito affabulare sul doloroso e irrisolto mistero dell’essere figli nell’epoca dell’assenza dei padri.

Note di regia

Tutta l’opera di Pasolini si può leggere come il risultato della tragedia dell’essere figlio. L’opposizione tra il mondo amato della madre e il mondo odiato del padre diventa l’opposizione tra ciò che è materno e cioè il passato, il mito, il Friuli contadino, il sottoproletariato urbano, il Terzo mondo, la sfera emotiva, pre-razionale, viscerale e corporea, pre-linguistica e ciò che è paterno e cioè il neocapitalismo, la borghesia, la civiltà industriale, la storia. Da un lato il mondo di Edipo e degli oppressi, dall’altro il mondo oppressivo di Laio. La perdita del padre, del “sole che illumina i “figli dei figli” comporta l’aprirsi di un limite oscuro (della morte come impossibilità di perpetuare la vita, del generare), ma nello stesso tempo si tramuta nella ricerca ossessiva dei suoi raggi, della luce che irrompe nella realtà e scopre “la straziante e meravigliosa bellezza del creato”.

La tragedia che esplode nel figlio è quella di un risarcimento affettivo che non ha più luogo. L’apparizione della madre, a questo punto, anche se determinante, è apparizione surrogatoria, sostitutiva. La vera perdita è quella del padre ed è perdita mortale. Il padre odiato diviene un estraneo: il patrigno del figlio mutato in figliastro. Il destino è quello di Oreste ed Amleto. Nella lotta contro l’autorità che il patrigno fisicamente rappresenta, il motivo personale ne simbolizzerà uno politico e viceversa. Ora, il tema centrale: qual è il peccato dei nostri padri? Esaurimento delle risorse, sovrappopolazione incontrollabile, consumo eccessivo delle risorse del pianeta a vantaggio di pochi ed una tecnologia utilizzata solo per sostenere un sistema non orientato ad un cambiamento culturale decisivo capace di renderci la speranza di evitare una catastrofe ambientale… in altre parole il mondo che viviamo è un ricettacolo di segni del loro agire irresponsabile e sconsiderato.

Sembra quasi che la generazione dei nostri padri abbia agito con la ferma convinzione che il mondo finisse con loro, che non ci fosse un dopo, con l’unica controindicazione che quasi tutti hanno procreato. Dalla primavera del 1966 all’estate del 1969, qualsiasi progetto intrapreso da Pasolini ruota, in qualche misura, attorno al tema della misteriosa dialettica Padri – Figli, così come ogni linguaggio praticato si contamina con esso: il romanzo Teorema, Porcile, le versioni cinematografiche delle tragedie classiche Edipo re e Medea, ancora il documentario Appunti per un Orestiade africana. Ma soprattutto in questi anni Pasolini scopre la necessità di sentirsi Edipo sia con il film omonimo, sia con la pièce teatrale Affabulazione.

Proprio da quest’ultima prende le mosse il progetto “Tutti i padri vogliono far morire i loro figli”. La sua lotta contro il padre Carlo Alberto non ha nulla a che vedere con la rivolta contro i padri dei giovani del ‘68, perché quest’ultima era lo strumento più efficace con cui il nuovo capitalismo si disfa di quello vecchio, in armonia con gli imperativi del consumismo, dell’esaurimento delle risorse e della distruzione globale. I figli sfortunati vogliono essere orfani in una società senza padri, in cui alla vecchia rivalità edipica si va sostituendo l’invidia fraterna. La rivolta contro i padri non è più tragica, essa diventa come afferma Franco Cassano “un esercizio di massa, una ginnastica senza tragedia, senza dolore”. Siamo di fronte ad un parricidio di massa dove i figli, quelli che il ’68 l’hanno desiderato ed attuato, hanno abdicato al loro ruolo di futuri padri, quasi avessero stretto un patto con il diavolo per restare eternamente figli del mondo. Ciononostante, come è già stato affermato, quasi tutti loro hanno messo al mondo dei figli che errano nel deserto che è oramai divenuto il mondo all’epoca del tramonto del padre.

Leonardo Ferrari Carissimi

Teatro dell’Orologio

Stagione teatrale 2014|2015

What’s the Time?

dal 12 marzo al 3 aprile 2015

SALA ORFEO

Tutti i padri vogliono far morire i loro figli

Compagnia CK Teatro

drammaturgia Fabio Morgan e Leonardo Ferrari Carissimi

regia Leonardo Ferrari Carissimi

con Irma Ciaramella, Anna Favella, Chiara Mancuso, Luca Mannocci, Mauro Santopietro

scene e costumi Alessandra Muschella

disegno luci Antonio Scappatura

tecnico luci Martin Emanuel Palma

aiuto regia Carlo Maria Fabrizi

produzione Progetto Goldstein in collaborazione con il Teatro dell’Orologio

dal martedì al sabato ore 21:00 | domenica ore 17:30

PRIMA NAZIONALE

info e biglietteria:

SALA ORFEO: intero € 15,00 – ridotto € 12,00

Ingresso consentito ai soci: tessera associativa annuale € 3,00

La prenotazione è vivamente consigliata

06 6875550 | [email protected]

Le prenotazioni possono essere effettuate

dal lunedì al venerdì dalle 11.00 alle 19.00

e la domenica dalle 16.00 alle 19.00

Teatro dell’Orologio

Via dei Filippini 17/A – 00186 Roma

Facebook: Teatro dell’Orologio | Twitter: @teatroorologio

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