“Il Globe Theatre è una struttura sana”. Intervista a Loredana Scaramella

Dirigendo al Globe “Molto rumore per nulla”, ha avuto un successo strepitoso. La regista ci racconta i segreti della sua ricetta. I suoi futuri progetti

ROMA – Piove. Il legno del Globe Theatre accoglie la pioggia insieme agli alberi che lo circondano. Loredana Sacaramella, regista di “Molto rumore per nulla”, emerge dagli arbusti coperta da un piccolo ombrello chiaro e con un sorriso colmo di passione. Entriamo passando dietro le quinte di questo tempio della recitazione. Sì un vero tempio, sacro ed eterno, il solo teatro elisabettiano in Italia. Basta questo per far propri millenni di recitazione, di allestimenti in cui la parola di Shakespeare continua a vivere, a emozionare. Le sarte sono all’opera con i costumi di scena, incrociamo Don Juan (Matteo Milani) in abiti moderni, un’asincronia temporale curiosa, i tecnici attendono pazienti che spiova.  Tra poco inizieranno le prove. Ci accomodiamo nel palco laterale.  

D. Loredana si è fatta un’idea del perché del grande successo di “Molto rumore per nulla”?

L.S. Ci sono due motivi: il tipo di relazione e il tipo di difficoltà non hanno tempo. Non credo che all’epoca di Shakespeare fosse più semplice di oggi, non credo oggi sia più semplice di allora. Penso sia invariata la difficoltà di affrontare l’altro in maniera non simbiotica. Benedetto e Beatrice sono un esempio di relazione equilibrata, una volta usciti dal conflitto e identificato il reale e i problemi che il reale porta con sé, si rendono conto che la possibilità di procedere è data dal supporto reciproco e non dalla perpetuazione del conflitto tra loro e con l’esterno. Queste due persone riconoscono l’uno nell’altra la possibilità del dialogo. Questo, visti i tempi, é particolarmente prezioso, perché siamo di fronte a una grande difficoltà: quella che io chiamo la comprensione dell’altro da sé. E questo riguarda la politica, i rapporti interpersonali, la società, la tolleranza, la comprensione delle origini. Dal codice della strada all’accoglienza dello straniero. Sono tutte cose che richiedono un ascolto dell’altro che non è uguale a te. Un secondo motivo, altrettanto interessante, è che oggi ogni volta che ci troviamo ad affrontare un tema contemporaneo, come appunto la comprensione dell’altro, quello che partoriamo è in genere un materiale tragico. 

D. E La commedia?

L. S. Parliamo della commedia scritta non per il semplice gusto di far ridere, che è comunque uno scopo che rispetto perché la risata è benefica. Penso che la commedia come strumento d’indagine e di attenzione ai comportamenti privati e pubblici sia uno strumento che è meglio non abbandonare. La leggerezza è una qualità, non è un difetto, non vuol dire che la leggerezza non ci consenta di affrontare dei temi, è la forma che è leggera. È un grande esercizio di stile prendere un tema e svilupparlo nelle due direzioni, mescolare il tragico e il comico, come avviene in ogni opera di Shakespeare. Non esistono sue tragedie senza momenti umoristici e non esistono commedie prive di venature d’ombra. Perché c’è grande attenzione alla realtà e al pubblico che non sempre è valutato. 

D. Il pubblico di cosa ha bisogno?

L. S. Il pubblico viene a teatro per divertirsi, per capire meglio dove si trova nel mondo, quali sono le relazioni che gli interessano, se c’è qualcosa nei comportamenti che non ha capito e che può imparare. Shakespeare ci consente di vedere paesi che non conosciamo, conoscere relazioni che ci sono ignote, trovare differenti modi di confrontarsi con il reale. Inoltre aveva a cuore la reazione del pubblico, cercava di fornire al pubblico un materiale che lo divertisse e lo interessasse nello stesso tempo, da qui la comicità all’interno delle tragedie, la musica in tutte le sue forme, una cosa che abbiamo cercato di tenere in vita in quest’allestimento e nei miei precedenti. 

D. La musica di “Molto rumore per nulla” è particolarmente coinvolgente, come l’interazione con il pubblico…

L. S. Mi fa molto sorridere l’idea che alla fine della tragedia scozzese gli attori scendevano giù e ballavano tra il pubblico una divertentissima giga scatenata. Un bagno di calore e di contatto, di ritorno al reale dopo la grande avventura del pensiero e delle emozioni suscitate dalla tragedia. Siamo ancora qui, siamo vivi, noi siamo gli attori e voi siete il pubblico, balliamo. È quello che ho voluto realizzare anche in “Molto rumore per nulla”. Sarebbe divertente vederlo nelle tragedie.  

D. Ho trovato una lettura di “Molto rumore per nulla” diversa da qualsiasi altra. E dovuto al fatto che lei ha curato la traduzione?  

R. È stata una necessità, perché non è possibile prendere una traduzione di Agostino Lombardo o Masolino D’amico e mettergli in bocca cose che non hanno detto. È uno strumento più comodo da utilizzare, ci permette di lavorare sul linguaggio. La dove ci sono “malpropismi” è impossibile tradurre letteralmente, il gioco per noi è stato quello di proporre in una versione italiana gli spunti proposti dal testo originale. Non corrisponde a tutto quello che accadeva in scena. Quando Shakespeare scrive “Entrino i clown”, mi aspetto che degli esseri umani portino la loro creatività in gioco e inventino qualcosa, che è quello che abbiamo cercato di fare. Le guardie nell’opera originale hanno solo otto battute in tutto e qui hanno grande spazio. Del resto se nella relazione tra gli attori esce fuori qualcosa, così come sicuramente accadeva ai tempi di Shakespeare, si può intervenire. Abbiamo cercato di rispettare il ritmo, la versificazione usando l’endecasillabo al posto del blank verse perché comunque l’italiano frutta tanto rispetto all’inglese. Quando Shakespeare usa il verso è perché c’è un’accelerazione emotiva, a seconda del verso che usa è un momento in cui sta accadendo qualcosa di molto emozionante o di molto pericoloso oppure ludico. 

D. Nel suo “Molto rumore per nulla” ci sono delle invenzioni geniali capaci di suscitare risate, che altrove non deflagrano. Da dove nascono? 

L.S. Lavorando con gli attori. Ma questo è evidente nel testo, almeno per chi se ne innamora. Io ho fatto delle scelte riguardo gli attori delle quali siamo strafelici, nel senso che hanno qualità particolari, sanno rimanere liberi all’interno di una struttura chiusa come quella del teatro fisico dove bisogna avere la mente sgombra da preconcetti e codici prefissati. Siamo andati in zone che hanno reso lo spettacolo più leggero ma anche più legato ai corpi. Ci sono molte traduzioni letterarie che quando vai a recitare sembra di avere in bocca qualcosa che va bene al liceo o all’università, ma se devi passarla al pubblico è necessario trovare un linguaggio. 

D. Pur avendo rispettato il testo originale tra il pubblico sono esplose risate come in nessun altro allestimento…

L.S. La scena del dopo matrimonio quando Beatrice chiede a Benedetto di aiutarla nella sua vendetta, in realtà è una scena d’amore nella quale si racconta anche il potere maschile e femminile messo a confronto. Questo conflitto così forte e l’impedimento dato dal desiderio di non scoprirsi fanno sì che quelle diventino scene molto comiche, ma nella realtà il trattato è tragico e c’è una fatica struggente nel dichiararsi all’altro che fa molto ridere.  Ci riconosciamo e sappiamo che quando siamo in quelle situazioni non abbiamo le parole per dirlo. 

D. Nel film “Molto rumore per nulla“ di Kenneth Branagh non “ci tocca” la storia, cosa che avviene qui al Globe.

L.S. Il film non lo vedo da moltissimo però ricordo grappoli d’uva, le foglie di fico, gli ulivi, sole ovunque. Difficilmente ci sono momenti di notte, d’ombra e di autentica tensione, anche la scena del matrimonio andato a male è poco incisiva. Il fatto è che la prassi shakespeariana in Inghilterra oscilla tra una visione pulita accademica e la capacità di immettere un costume, una relazione contemporanea. Noi non abbiamo un autore simile, i nostri autori teatrali sono recenti. Shakespeare è il padre della lingua, è un debito enorme che ha la cultura inglese nei suoi confronti. Quindi lavorare cercando di rendere più moderni i testi di Shakespeare è più semplice in Inghilterra perché il pubblico ha più strumenti per entrare senza difficoltà. Io mi sono mossa in questa direzione.  È un po’ il tentativo di creare la piazza e la festa in questo teatro che rende lo spettacolo così attraente per il pubblico. La piazza e la festa, due elementi che sono mancati negli ultimi tempi: ci manca la piazza in senso civico, abbiamo tanta televisione ma non abbiamo luoghi in cui realmente ci s’incontra per confrontarsi e la festa, mancata per molti motivi pratici, e perché le amministrazioni non hanno interesse in questo. 

D. Quindi il teatro ha ripreso la sua funzione sociale.

L. S. Certamente. Piazza vuol dire avere temi rappresentati sul palco che ci riguardano tutti, nei quali possiamo riconoscerci, che ci possono chiarire su un momento comunitario. 

D. Lo spostamento da Messina al Salento cosa ha comportato?

L. S. Io volevo raccontare un sud, penso fosse anche l’intenzione di Shakespeare. Oggi mi piaceva raccontare un sud allargato. La cosa che ha risentito più dello spostamento sono le musiche. Trovo la pizzica più rispondente al fuoco che si scatena nelle orecchie degli amanti, è come una perdita di controllo, un vortice che prende. C’è pizzica, musica barocca alta e musica catalana e sefardita. Abbiamo preso l’Italia del sud e la Spagna e le abbiamo seguite liberamente andando dalle corti alla campagna per l’Italia e dalla corte di Isabella alla cacciata degli ebrei in Spagna. C’è già presente il miscuglio di tracce musicali diverse in cui c’è l’ascendenza araba e quindi abbiamo privilegiato la cultura sefardita. Con immissioni di chitarra barocca ma anche bouzouki, strumento che si ritrova in tutto il mediterraneo particolarmente presente nella cultura greca.

D. Quali sono le differenze con la sua prima regia shakespeariana?

L. S. Questo spettacolo debuttò nel 2006. All’epoca facevo anche Beatrice, era la mia prima regia shakespeariana. La compagnia è la stessa, tranne cinque. Benedetto aveva ventitré anni ed Ero ne aveva diciotto. Debuttammo con un esito che all’epoca fu meno eclatante ma sempre altissimo come presenza di pubblico. Pubblico che con il corso degli anni è cresciuto e siamo cresciuti anche noi come compagnia. C’è il nostro sangue dentro che fa molto più ridere di quando non ci finisce. Del nucleo originario siamo sempre io, Mauro Santopietro e soprattutto Alberto Bellandi, il maestro dei movimenti di scena, con il quale lavoriamo spessissimo soprattutto in questo tipo di allestimenti e con il quale c’è una relazione molto forte dal punto di vista dell’invenzione. Carlo Ragone che c’è dalla prima edizione, credo sia imprescindibile, il suo Corniolio è un’impronta indelebile.

D. I più giovani da dove vengono?

L. S. I giovani provengono da scuole diverse, il Centro Sperimentale, lo Stabile di Genova, lo Stabile di Torino, da Eutheca, il Piccolo Teatro di Milano. Ho preso i migliori. 

D. Qual è la sua relazione con il Globe?

L.S. La relazione con il luogo è molto forte. Abbiamo cercato di utilizzare questo spazio così com’è, senza forzarlo. Del resto il teatro nasce in uno spazio fra persone per un pubblico che guarda e partecipa e il luogo non si può ignorare. Il Globe lo amiamo com’è, anche se non sappiamo come fosse realmente. Quello di Londra fu costruito dagli americani, è un po’ dissimile. A Londra hanno il paradiso, le colonne sono dipinte, è più patinato. A me piace più questo nell’aspetto. Una cosa interessante è che abbiamo cercato di amare e usare questo teatro per quello che è. Abbiamo cercato di suggerire delle realtà con elementi semplici, per cui una corda è un’altalena in un giardino, quattro sgabelli sono un tribunale.

D. E il legame con “Molto rumore per nulla”?  

R. Io considero “Molto rumore per nulla” la vera commedia di Shakespeare, perché i protagonisti sanno già cosa succederà. Benedetto e Beatrice si sono scambiati tutti gli insulti permessi dal palcoscenico. Si conosco già e quando si vola verso la pacificazione e i matrimoni non parliamo di un amore folle e disperato ma di un amore tra persone adulte e questo restituisce qualcosa in più allo spettacolo.

D. In futuro ancora commedie per Loredana Scaramella?

L.S. In verità, vorrei mettere mano a delle tragedie da Amleto a Cimbelino. Shakespeare ha pochissimi ruoli femminili, anche se molto incisivi, mi piace il lato marziale della scrittura shakespeariana dove c’è l’evoluzione del leader. In “Molto rumore per nulla” è Benedetto l’evoluzione del leader, si parte da un cliché maschile superficiale e pieno d’incertezze per arrivare a un essere umano adulto centrato e capace di un comando saggio. Un preludio ai grandi protagonisti delle tragedie e dei drammi storici per i quali ho delle idee che vorrei sviluppare. 

D. Il pubblico di “Molto rumore per nulla” è diverso dagli anni passati?

L. S. C’è da dire che dalla mia prima messa in scena nove anni fa il pubblico è cambiato. Ci sono moltissimi giovani. L’hanno scorso quando abbiamo fatto le repliche straordinarie a partire dalle diciotto, il sabato e la domenica, era più abbordabile per quelle fasce d’età. La politica del teatro è stata di tenere i prezzi in una zona controllata. Questo di avere anche fasce di prezzo popolari si deve alla direzione artistica di Proietti che ha sempre fatto questo tipo di scelte e che speriamo rimanga qui. 

D. A proposito del direttore artistico Gigi proietti, si hanno certezze riguardo alla sua presenza al Globe? 

R. Non ancora.

D. Si aspetta forse di avere incassi importanti?

R. Non credo, se così fosse in base alla scorsa stagione, straordinaria come incassi, ci sarebbero dovute già essere certezze. 

D. Quali progetti futuri?

R. Ce n’erano e ce ne sono molti. La direzione artistica si può accollare degli oneri ma fino a un certo punto. È necessario un minimo di programmazione che non c’è possibile fare in queste condizioni. Siamo qui, del futuro non v’è certezza. Io vorrei essere ottimista perché il lavoro svolto è onesto, questa è una struttura sana. Sana grazie a Proietti. 

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