VENEZIA – Venerdì 4 agosto arriva per la prima volta in Italia alla Biennale la trentottenne regista tedesca Anna-Sophie Mahler con il suo particolarissimo teatro musicale che, dopo Maja Kleczweska, Ene-Liis Semper, Nathalie Béasse, Maria Grazia Cipriani, Livia Ferracchiati, aggiunge un nuovo capitolo al teatro europeo di regia degli ultimi anni.
Regista di prosa e regista d’opera, Anna Sophie Mahler, nata a Kassel ma residente a Zurigo, fonda nel 2006 la propria compagnia CapriConnection, con cui sperimenta un’originale idea di teatro musicale che si caratterizza per l’utilizzo di materiale documentaristico intrecciato a musica e immagini, ospitata nei maggiori teatri di area germanica – Theater Basel, Nationaltheater Weimar, am Luzerner Theater, HAU Berlin, Schauspielhaus Graz, Konzert Theater Bern, Theater Bremen. Alla Biennale presenta due spettacoli: Tristan oder Isolde, in scena il 4 agosto al Teatro alle Tese (ore 21.00) e Alla fine del mare, presentato al Teatro Piccolo Arsenale il 5 agosto (20.00).
Tristan oder Isolde è dichiaratamente un pastiche elaborato a partire dai resti della scenografia di Anna Viebrock per l’opera wagneriana diretta da Marthaler a Bayreuth e del quale la Mahler era stata assistente. Il Tristano e Isotta firmato da Marthaler, ambientato nel salotto di un piroscafo con Tristano che poi finisce in un letto d’ospedale, tra luci al neon, mobili finto modernista e abiti borghesi anni ‘50, tutto all’insegna dell’antipathos e dell’anticlimax più manifesto, era stata un’opera controversa ma di ampio successo, replicata per ben otto anni. Racconta la Mahler: “Dopo i primi due anni Marthaler ha smesso di venire e mi sono ritrovata unica responsabile per la regia delle repliche per i successivi sei anni. Nel tempo ho sviluppato un rapporto fortemente ambiguo con la musica di Wagner e con Bayreuth stessa. Divisa tra fascino e repulsione, l’ultimo spettacolo mi lasciò comunque con una marea di domande senza risposte. Quando la scenografa Anna Viebrock mi chiese se volevo tenere una delle sedie dell’allestimento del primo atto, mi sono resa conto che volevo tenere ben di più di una sedia, ed effettivamente non ero ancora pronta a lasciare. Con il mio gruppo CapriConnection sono riuscita a salvare parti intere della scenografia attimi prima che fossero portate in discarica. Così sono riuscita ancora una volta ad approfondire molte delle questioni poste dall’opera e dagli ultimi otto anni della mia vita: che influenza può avere su di noi la mitologia dell’amore romantico? È indispensabile? Esistono alternative? Cosa resta dell’ottocento nel ventunesimo secolo?”. Con un’economia di mezzi che investe anche l’apparato musicale – una melodica, un violino, un basso e un carillon, un gioco di scala capovolta rispetto all’originale wagneriano e alla inscalfibile ritualità di Bayreuth – la Mahler reinventa l’opera e la più famosa love story del teatro musicale raccontando il desiderio e la passione in un mondo dominato dalla razionalità, dove l’invadenza dell’economia porta a un abuso dei sentimenti romantici.
Il secondo spettacolo della Mahler presentato alla Biennale, Alla fine del mare, chiama dichiaratamente in causa il film di Fellini E la nave va: in scena un gruppo di stelle della lirica ormai decadute in viaggio su un piroscafo che a un tratto incontra una barca carica di profughi di guerra, creando due mondi destinati inizialmente a scontrarsi. Il film di Federico Fellini E la nave va – afferma Anna-Sophie Mahler – mi ha dato l’ispirazione per ritrarre la società europea come una specie di decadente coro lirico che comunica solo attraverso il canto. Nella mia opera metto a confronto questo coro con le persone che possono solo parlare ma non cantare – i rifugiati, gli ‘altri’. Queste due forme di espressione sono condannate a non capirsi mai del tutto, e questo, a mio avviso, è il problema centrale che attraversa tutti i conflitti globali del presente”.