I racconti di Versailles. Preludio alla tempesta. Ventitreesimo

Il primogenito di Maria Antonietta, Luigi Giuseppe, aveva ricevuto in regalo da Charles Alexandre de Calonne, conte di Hannonville, una carrozza piccolissima, color rosso vermiglio: miniatura più rara delle moderne vetture che avevano fatto impazzire i bambini di corte.

All’inizio il delfino si eccitò, troneggiandovi rachitico, guardato dai coetanei con invidia mentre il cocchiere incitava il pony, ma l’entusiasmo presto si dissolse: i dolori lo costrinsero nuovamente a letto e il povero bambino abbandonò la berlina nelle scuderie. Il regalo era un omaggio reso alla regina da Calonne, nuovo “ministro delle finanze”, per farsi perdonare l’opposizione all’acquisto del Castello di Saint Cloud, che Maria Antonietta, appreso di essere incinta per la terza volta, aveva desiderato con l’ardore di una madre che pretende “una stanza in più” per il nuovo arrivato. Il re, convinto che l’aria dei boschi a dieci chilometri da Parigi avrebbe giovato ai figli, permise alla moglie di portare a termine la trattativa con i duchi d’Orleans, proprietari della magnifica residenza. L’affare si concluse con un pagamento sconsiderato: sei milioni di Luigi. 

Il giorno che, finalmente, venne alla luce Luigi Carlo, terzogenito di Francia, duca di Normandia, la folla si raccolse come sempre intorno a Versailles, anche perché la sua nascita coincideva con l’avvento della Pasqua del 1785. Erano accorsi in tanti, più per abitudine che per convinzione. Al giubilo quel giorno si mescolava un livore senza reticenze che era tranquillamente espresso in pubblico. Davanti al cancello su cui svettava lo stemma dei Borboni, una vecchia lurida e vestita di stracci commentò:

L’austriaca ha voluto la reggia di Saint Cloud solo per lei, nessuna regina ha mai preteso una cosa simile… 

Così se muore, lo eredita l’imperatore d’Austria… – rispose prontamente un ragazzo.

La vecchia lo guardò interdetta:

Uno straniero? Pensi sia possibile?

 Allora perché farebbe spese folli? – insisté lo scugnizzo – Sulle porte di Saint Cloud c’è scritto “Per ordine della regina”…

Assatanata, ladra… – bofonchiò la vecchia

 Pagherà caro, pagherà tutto… – sentenziò Caroline Chevrier che stava lì per vendere tisane con sua figlia Marianna, ormai quattordicenne che, come lei, teneva in braccio brocche d’infusi. Slanciata come un giunco sotto una chioma liscia, Marianna attirava clienti cantando a squarciagola: 

 Devo dirvi come andava all’operaio, al lavorante,

 bevete tutti quanti che le storie sono tante…

 Quando la ragazza mostrò la tazza al gruppetto che la circondò

Noi beviamo solo vino! – gridò un uomo

E Marianna salì di tono:

 Principi e cortigiani schiacciavano i paesani

 Petignat lasciò il paese portando al Principe le sue pretese

 Disse: “Sire abbiamo fame e vogliamo aver del pane

  Tutti risposero in coro:

  l’operaio non è cacca a cui basta dar dell’ acqua!

 Risata generale. Qualcuno batté le mani, qualcuno comprò.  Altri proseguirono il motivo tramandato dai nonni, inebriandosi alla storia di Pierre Petignat, colui che contro il Principe di Mont Béliard aveva sollevato la Franca Contea.

***

     

Il conte Axel von Fersen tornò a Versailles il 10 maggio 1785. Sapeva che sua maestà aveva da poco partorito il terzo figlio. Voleva vederlo, soprattutto perché concepito nello stesso periodo in cui lui era stato a palazzo. Non aveva mai scritto dei suoi sospetti alla sua cara “Josephine”, come chiamava in codice Maria Antonietta, era troppo pericoloso. Ma ora, di nuovo lì, nell’anticamera della sua donna, si chiedeva se non fosse suo quel bambino. Il cuore gli batteva.  Yolande de Polignac gli fece cenno di entrare con un’occhiata così intensa che ne fu turbato. La regina lo squadrò: così magro, così bianco. Ordinò di lasciarli soli. Quando la porta si richiuse Fersen si avvicinò al letto.

Mi siete mancata… 

Anche voi

Fersen si chinò sull’infante disteso accanto a lei.

Siete felice? – alludeva a quella nascita che forse costituiva un evento “speciale”. La regina non rispose. Lui scrutò il piccolo emozionato. Sembrava così delicato, chiaro di pelle, di capelli… come lui… gli somigliava? 

Pensate che somigli a Luigi XVI? – chiese nutrendo la segreta speranza che rispondesse di no.

Non si può dire se assomigli al padre o alla madre…

   Fersen allungò un dito e sfiorò la guancia del neonato che sembrò infastidito, la sua piccola bocca fremette, scoppiò in singhiozzi.

Perdonatemi maestà… – l’uomo s’irrigidì.

Piange perché ha fame…

E’ un bambino bellissimo… mi piacerebbe essere padre di un figlio uguale a lui…

   Era in ansia, voleva sapere. Sua maestà colse lo sguardo interrogativo, acceso, ma non aveva davvero risposta. Ebbe un moto di tenerezza verso Fersen, stava per parlare e si accorse che non poteva rompere il tabù, Luigi Carlo avrebbe vissuto a corte con lo stesso onore degli altri.

Andate, devo allattare. Mio figlio piange…

Il cuore di Fersen si strinse per la delusione. Non si aspettava quell’ enigmatico silenzio.

   – Posso rivedervi?  

    – Certo…. vi voglio accanto ai festeggiamenti di Parigi…

***

All’epoca della nascita di Luigi Carlo il conte Alexandre de Tilly, paggio di Luigi XVI, aveva ventuno anni. Era un giovanotto affascinante, amante dei piaceri della vita, che dilapidava a piene mani le ricchezze ereditate dai suoi avi correndo dietro a giovani attrici e ragazze di ogni genere.  Gli sarebbe piaciuto avere le attenzioni di Maria Antonietta, ma un tale tradimento nei confronti del re non lo aveva preso in considerazione. Godeva però dei pettegolezzi sul conto di Axel von Fersen, provando invidia per il suo straordinario privilegio. Dopo la cerimonia di benedizione della puerpera, alla quale Parigi aveva partecipato con scarso entusiasmo, sua maestà era tornata a isolarsi al Petit Trianon dove, terminata la costruzione del villaggio, si divertiva aspettando di trasferirsi a Saint Cloud. Al Trianon aveva dato balli e cene, passato i pomeriggi a giocare con gli intimi, tra i quali il suo bel conte svedese che accanto a “Josephine” sembrava andare in estasi, anche se sotto sotto era preoccupato per aver scoperto tra il popolo un inaspettato gelo nei confronti della regina. 

 Al tavolo da gioco Fersen costatò che sua maestà stava perdendo.

Per oggi basta – le consigliò

    – Temete per le vostre finanze? – rise Maria Antonietta

Non è questo… – lui la guardò con apprensione e abbassò la voce – I francesi non hanno festeggiato vostro figlio – Axel avrebbe voluto dire “ nostro” ma si trattenne – me ne sono stupito e non lo trovo di buon augurio…

Lei fece spallucce:

Non mi meraviglio, la crisi economica deprime tutti…

        Fersen non replicò. Lei lo vide allontanarsi salutato con ammirazione da Tilly e da Saint Priest e nell’intimo ne fu soddisfatta.

Lo sguardo della regina non sfuggì a Tilly che chiese all’amico:

Credete ai pettegolezzi sul conto del nascituro?

Volete dire – sussurrò l’altro – che sia figlio di Fersen?

Tilly annuì.

Nessuno lo sa, non ci sono prove… il gabinetto nero controlla la posta… la popolarità di sua maestà però è in ribasso…

***

  

 Tra dubbi e invidie il conte Axel von Fersen partì alla fine di giugno. L’abulico Luigi XVI non volle porsi il problema: accettò il figlio che il destino gli aveva riservato con la forza di chi ha sempre sofferto di stare in secondo piano, contento di non gettare alcun sospetto sui diritti del nuovo venuto. Lo amò istintivamente, senza calcolo, perché il re era buono. Maria Antonietta, ignara su chi fosse il padre, rifiutandosi di conoscere una realtà sconvolgente, si sentì assolta e si buttò anima e corpo nel ruolo di madre. 

   A fine giugno, quando Fersen ripartì, soffocò la sofferenza del distacco recitando “Rosina”, personaggio del “Barbiere di Siviglia” a lei molto caro. La commedia nella quale per la prima volta la nobiltà era costretta a riconoscere la superiorità di un plebeo, proibita per questo nel 1781, a lei non faceva paura, lontanissima dall’idea che la monarchica ne fosse destabilizzata aveva deciso di rappresentarla nel teatrino bianco e oro del Petit Trianon. Maria Antonietta, che approvava la meritocrazia di Beaumarchais, nel creare l’arguta, candida e innamorata protagonista, si preoccupava soprattutto di non sembrare dilettante. Come Rosina sarò abbastanza bella? Si chiedeva al pensiero che avrebbe tra poco compiuto trent’anni. Non preferiranno carne più giovane? Il conte di Artois e Vaudreuil, entrambi mossi da quel rancore antimonarchico che aveva reso popolare la pièce tra gli aristocratici, interpretavano rispettivamente Figaro e il conte d’Almaviva.

      Le prove del “Barbiere di Siviglia” volgevano alla fine, quando un mattino, con sorpresa, sua maestà ricevette dal gioielliere di corte Charles Auguste Boehmer, da lei considerato uno scocciatore, una lettera che non comprese. Il linguaggio era insolito. La lesse distrattamente:

       12 luglio 1785

 Madame

                Siamo al colmo della felicità osando pensare che gli ultimi accordi che ci sono stati proposti, e ai quali ci siamo inchinati con zelo e rispetto, sono un nuovo riconoscimento della nostra sottomissione e devozione agli ordini di vostra Maestà. Nutriamo grande soddisfazione al pensiero che la più bella parure di brillanti al mondo sarà al servizio della più grande e migliore delle regine. 

 Restò in silenzio.

   “La più bella parure di brillanti?” sbuffò “Come devo dire che non voglio nessuna collana?”

   Si avvicinò alla candela e bruciò con fastidio il messaggio.

Madame Campan!  – la dama di compagnia accorse al suo richiamo – Vi ordino di non ammettere mai più in mia presenza l’orefice Boehmer, con le sue insistenze ha passato il segno…

***

Charles Auguste Boehmer attese con ansia una risposta. Quando si rese conto che aspettare non avrebbe avuto senso si precipitò a chiedere ragione alla prima cameriera della regina, che si era ritirata nella sua casa di campagna. Era il tre agosto e faceva molto caldo, Madame Campan, al colmo dello stupore, si domandò a cosa dovesse quella persecuzione. Lo ricevette preoccupata. 

        Grasso, sudato e mellifluo, Boehmer rimase in piedi:

Madame Campan non avete commissioni per me?

E’ perché mai dovrei averne? 

Ma a chi devo rivolgermi per una risposta?

A nessuno, sua maestà ha bruciato il vostro biglietto.

   Boehmer impallidì, sentì che la testa gli girava, si mise a sedere:

Non è possibile… sa che mi deve del denaro!

Denaro? 

Maria Antonietta mi deve un milione di luigi…

Siete impazzito? Perché vi dovrebbe questa somma enorme?

Per la collana madame…

Ancora quella collana! Sapevamo che l’avevate venduta a Costantinopoli…

Maria Antonietta mi aveva ordinato di dire così – spiegò il gioielliere – attraverso il cardinale Rohan la regina aveva fatto acquistare la mia collana in gran segreto…

Sua maestà con il cardinale non parla da anni!

Vi sbagliate! Ha talmente fiducia in lui che gli ha dato trentamila luigi come acconto per il pagamento della collana… – insisté Boehmer – li ha presi dal secrétaire di porcellana di Sèvres, vicino al caminetto, nel suo boudoir…

Ma cosa dite? – sbalordì Madame Campan sbiancando in viso.

Sono cose che mi ha detto il cardinale Rohan… – tenne duro l’uomo – ma io comincio a essere spaventato perché Rohan mi aveva anche dato per certo che Maria Antonietta avrebbe indossato i diamanti il giorno di pentecoste… non vedendoglieli mi sono deciso a scrivere…

La Campan lo guardò inorridita.

Dev’essere una macchinazione infernale… avete sbagliato a muovervi senza precisi ordini del re, della regina, dei suoi ministri… vi consiglio di rivolgervi al barone di Breteuil come capo della corte… e state in guardia…

***

        

 Boehmer sempre più confuso e angosciato, non seguì il consiglio di Madame Campan. Andò dritto prima dal cardinale Rohan e poi, con la sensazione di essere sull’orlo di un precipizio, di nuovo corse dalla regina. Madame Campan, istigata alla prudenza dal suocero spaventatissimo, non parlò a sua maestà. Ma alcuni giorni dopo fu la stessa Maria Antonietta a chiamarla. 

Sapete che quell’imbecille di Boehmer è venuto a chiedermi di parlarmi, dicendo che lo avevate consigliato voi? Ho rifiutato di riceverlo, é pazzo e non ho niente da dirgli… avete idea di cosa vuole?

La Campan si confuse e ripeté il racconto che l’orefice le aveva fatto. La regina ne fu turbata.

– Non capisco.

L’altra raccontò di nuovo.

– Ci sono persone che si fregiano del mio nome – disse Maria Antonietta – circolano biglietti falsi con la mia firma… ma cosa c’entra il cardinale Rohan? So che a Vienna aveva aperto un bordello privato e si era messo a fare il contrabbando di seta… mia madre mi ha sempre messa in guardia da lui… Chiamatemi l’abate Vermond e il barone di Breteuil.

    Angosciata dal mistero, Maria Antonietta stentava a credere che quel garbuglio fosse realtà. Aveva un grande bisogno di essere rassicurata sul malinteso, ma quando Vermond entrò, pallido e turbato, si preoccupò di più.

Perché quella faccia? 

Ho qualcosa da dirvi… – mormorò l’abate

Dite.

Poco fa è venuto da me il banchiere Saint James – iniziò in tono sommesso – ha detto che il cardinale Rohan voleva un prestito di settecentomila luigi con la garanzia del vostro nome… Saint James era pronto a consegnare la somma ma chiedeva ordini precisi.

     Il panico esondò, sua maestà si alzò e prese a camminare avanti e indietro:

 – Mio Dio! Qui c’è un giro illegale di soldi a mio nome… ne va della mia reputazione! Che catasfrofe! Cosa vuol dire tutto questo?

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