Per due secoli capitale imperiale, Pietroburgo in poco più di duecento anni ha cambiato nome cinque volte: un record mondiale difficilmente eguagliabile: dal 1916 al 1924 si è chiamata Pietrogrado, dal nome del fondatore, lo zar Pietro il Grande, per diventare Leningrado nel 1924 e fino al 1931, dal nome del capo della rivoluzione d’Ottobre (che in realtà si svolse in novembre); diventò Stalingrado con la seconda guerra mondiale che le fece patire un mostruoso assedio da parte delle truppe di Hitler.
Quindi Volgograd per breve tempo per tornare al nome zarista delle origini con l’aggiunta del santo, San Pietroburgo, così come la conoscono i turisti di tutto il mondo, oggi molti di meno da quando la Russia ha attaccato l’Ucraina.
Non va dimenticato che Pietroburgo è la città natale di Putin, che vi ha vissuto da giovane con i genitori in una casa poverissima, in coabitazione con altri diseredati, si è iscritto all’università per entrare subito dopo nel KGB, la temuta polizia segreta del regime, nei cui ranghi ha fatto tutta la carriera, prima di passare alla politica: prima vice-sindaco della città, quindi a Mosca al Cremlino da presidente della Federazione dal 1999, con la certezza di essere confermato fino al 2030.
A queste condizioni non si può parlare di Pietroburgo senza citare il leader russo che sta tenendo testa al presidente americano Trump, al capo della Cina comunista e ai capi di governo di quasi tutta Europa. Qualche commentatore internazionale ha già insinuato che il prossimo nome di Pietroburgo sarà proprio Putingrad. Chi vivrà vedrà.
Per le Edizioni Paesi, ad aprire la collana “Città geopolitiche”, è uscito in questi giorni in libreria l’agile volumetto Pietroburgo. Dagli assassini degli zar al cuoco di Putin, (pagg. 135, euro 16,00) che per l’esplosivo contenuto pesa come un macigno sulla coscienza del lettore europeo più attento. Ne è autrice Anna Zafesova , giornalista e scrittrice, nata e laureata a Mosca, per molti anni corrispondente dalla Russia di importanti quotidiani italiani. Il suo ritratto della città è come un capitolo importante della storia europea.
Pietroburgo si affaccia sul Mar Baltico, è la seconda città della Russia, più vicina all’Europa di quanto si possa dire della capitale Mosca. E questo particolare ricorre spesso nei discorsi più privati che pubblici del capo del Cremlino che con tipica doppiezza moscovita, da una parte aggredisce a parole l’Europa e con i fatti bombarda ogni giorno l’Ucraina che proprio all’Europa guarda con struggente interesse e dall’altra gli piacerebbe che la capitale tornasse lassù sul Mar Baltico, dove è nato, cresciuto e fatto carriera.
Putin, lo rivela ogni giorno, si sente più vicino agli zar che ai bolscevichi, non pronuncia da anni la parola “comunismo” e dà ripetutamente del nazista al popolo ucraino di cui si può pensar tutto meno che abbiano fraternizzato con l’armata di Hitler.
“Questa non è una guida della città” avverte Ana Zafesova che ci tiene a rappresentare la città dello Zar, quello vero, non il tardo epigono di oggi, come un volto della Russia che tutti, dai Romanov ai sovietici, hanno cercato di snaturare, ammirandone il distacco dei suoi abitanti e soffrendo per i pericoli che ha sempre corso.
D’accordo con l’autrice, il libro non è una guida per il turista mordi e fuggi, andrebbe invece consigliato a chi ancora crede nella buona fede di Putin e dei suoi più stretti collaboratori che non ha mancato di portarsi dietro al Cremlino: dei moscoviti non ha altrettanta fiducia, conosce bene la storia della Russia un grande paese che in trecento anni non ha ancora trovato la formula magica del progresso, della pace, della solidarietà, del rispetto dell’uomo.
Una lezione per il mondo di oggi, sempre che il mondo sia capace di capire cosa potrebbe accadere in questi anni tormentati durante i quali a comandare sono solo i prepotenti.