Rilegato in tela, in copertina un’illustrazione originale di Nerea Perez, questo elegante libretto pubblicato postumo, dal titolo poetico che nasconde un’esplicita allusione ai bisogni corporali che ricordano anche al poeta la sua natura mortale, Vargas Llosa lo ha scritto nel 2021, quattro anni prima di morire nella “sua” Madrid (era nato nel 1936 ad Arequipa in Perù ed era naturalizzato spagnolo).
Nel 2010 aveva vinto il premio Nobel per la letteratura, è uno dei massimi esponenti della letteratura latino-americana insieme con Gabriel Garcia Marquez, Jorge Louis Borges, Isabelle Allende, una produzione letteraria vastissima e multiforme. I suoi maggiori successi sono La città dei cani (1963), La casa verde (1966), Conversation en la catedral (2020).
Questo suo breve scritto, uscito in Italia nel 2025, è un ultimo, ironico commiato con il lettore, con la vita.
I venti del titolo, non sono come si crederebbe il maestrale, il libeccio o l’aliseo, ma più prosaicamente sono i ventos (nell’originale spagnolo) di tanto in tanto rilasciati dal disordinato intestino del protagonista, un anziano che si sente prossimo alla fine. L’ultimo giorno l’uomo lo passa girovagando per il centro di Madrid: gli sembra di aver perso la memoria, di non riuscire a trovare la strada di casa, teme che la fine lo coglierà solo e disteso su una panchina, è già tanto se non pioverà.
Una forma di testamento letterario, essenziale ma toccante, pieno di osservazioni che ti aspetti da chi sta facendo il bilancio della propria vita. In un ipotetico dialogo con l’amico Osorio che si diverte a provocarlo, lo scrittore dà vita in realtà ad un monologo con il lettore al quale affida certe sue innegabili convinzioni:
Sulla spiritualità e la Chiesa: “P piaceva alla gente perché non assomigliava alla vita, alla società così com’è perché rappresentava l’opposto dell’esistenza secolare. Dentro alla Chiesa ti sentivi già nell’altro mondo, in un territorio lontanissimo dalla routine quotidiana.
Era una bella illusione, fatta di riti, di canti, di incenso, di frasi in latino che non capendole i fedeli trovavano sagge, celestiali, allusioni a vite perfette eroiche e all’insegna della purezza, dell’innocenza e della pace interiore.
Oggi la Chiesa ha smesso di essere quel rifugio, è un prolungamento della vita di tutti i giorni, dove è permesso quasi tutto, dove non ci sono tabù né dogmi ferrei.
La Chiesa ha perso il mistero e ha smesso di essere interessante perché assomiglia ai partiti politici in cui non crede più nessuno, alle confraternite universitarie, alle squadre di calcio”.
Sulla società di oggi: “Adesso che nessuno crede più ai preti la gente si è messa a credere negli stregoni, nei maghi, negli sciamani, negli indovini, nei chiromanti, nei santoni, negli ipnotizzatori,
tutta quella marmaglia di imbroglioni e truffatori che per pochi soldi fanno credere agli incauti clienti che l’altro mondo esiste e che loro possono vederlo, che il futuro è scritto e decifrabile leggendo i fondi di caffè, le foglie di coca, consultando le carte o una palla di cristallo.
Ciò che le religioni serie facevano con eleganza, bellezza e complessità intellettuale adesso è monopolio e ostaggio di furfanti, incantatori di bassa, analfabeti. Ossia nel momento della più alta modernità scientifica e tecnologica stiamo tornando al paganesimo, alla stregoneria primitiva. E quel coglione del mio amico Osorio lo chiama progresso”.
Mario Vargas Llosa: “I venti”
Einaudi – 2025 – pag.86, euro 14,00