“C’è un certo Fellini che ti vuole”. Quale giovane giornalista non avrebbe fatto un salto all’annuncio della mamma che , rispondendo al telefono, non aveva riconosciuto, la voce inconfondibile del famoso regista?
Per venire a svegliarmi, in piena controra, mia madre aveva lasciato il microfono dell’apparecchio a muro ciondolare lungo la parete dell’ingresso. Erano le due del pomeriggio, anche quel giorno mi ero alzato all’alba per essere al giornale alle sei in punto e lavorare alla prima edizione che, a dispetto della qualifica “quotidiano della sera”, doveva essere impaginata non oltre mezzogiorno.
- “Pronto?“
- “Lei è Marucci? Sono Fellini. Perché lei scrive certe cose sul giornale?”.
- “Che cosa ho scritto?”
- “Che io devo restituire i soldi del film. Ma è matto?”
Mia madre aveva con discrezione lasciato la scena, ed io mi sorbii senza fiatare la reprimenda del famoso regista, il quale era furibondo di quanto aveva letto sul Giornale d’Italia a proposito delle polemiche scoppiate sulla lavorazione del suo film più tormentato, Roma. Da giorni sui giornali si scriveva che la produzione era ferma, che il produttore Angelo Rizzoli insisteva con il regista, ai suoi occhi alquanto bizzarro e imprevedibile, perché andasse avanti con le riprese e soprattutto portasse a conclusione un film per il quale aveva già ricevuto molti anticipi in soldoni. Anche a me toccò scriverne sul giornale: ne avevo parlato con una fonte confidenziale. un amico dell’Anica, il quale in termini generali aveva così sintetizzato la questione: “Se il regista che è stato pagato non ha finito il film il produttore può chiedergli indietro i soldi”. Era nota a tutti la fame di quattrini che affliggeva da sempre il regista famoso, e l’ennesima crisi con il suo produttore altrettanto noto, era esplosa sui giornali. Sul mio articolo, che uscì in prima pagina, fu il diavolo in persona a metterci la coda: la frase “il regista deve restituire i soldi” uscì virgolettata, e agli occhi del lettore apparve come pronunciata da Fellini in persona. Il titolo poi aggravò la situazione: “Fellini: restituirò tutto”. Di qui la sua sfuriata telefonica all’imprudente cronista. Che non poté non dare poco convincenti spiegazioni, sprofondarsi in scuse fino all’irato clic con cui dall’altra parte del filo fu chiusa la comunicazione. L’indomani Il Giornale d’Italia riportò le ragioni del regista famoso, al quale fu dato atto di non avere alcuna responsabilità contabile con il suo produttore, che la lavorazione del film, peraltro interrotta da alcune settimane, sarebbe ripresa al più presto, e che in fondo si era trattato di un increscioso equivoco. Oltre che dal regista famoso il giovane cronista si prese una ramanzina anche dal capo redattore, al quale non sembrò vero di poter esprimere tutta la sua autorità verso un timido sottoposto. Fellini non l’ho mai incontrato negli anni a venire se non in occasioni pubbliche (proiezioni, conferenze stampa, premi ecc.) e quindi, anche se avessi voluto, non ho mai avuto modo di rievocare quella telefonata di mezz’ estate che risuonò a lungo nelle ombrose stanze di via Livorno. A mantenerne vivo il ricordo fu soprattutto mia madre che pure non ne ha fatto parola con nessuno. Quasi fosse una vergogna, quel povero figlio giornalista bistrattato da un regista famoso (continua).
Da “Via Livorno”, Edizioni La Quercia, autobiografia di Sandro Marucci giornalista RAI e tutor e della scuola di giornalismo dell’Università Luiss.