Libri. “Via Livorno”, un’autobiografia – 14 : “Quando riuscii a far ridere Woody Allen”

Woody Allen aveva appena finito di girare il suo ventiquattresimo film, Pallottole su Broadway.

Era il 1994, e il tormentato attore-regista stava vivendo il suo momento magico: in poco meno di vent’anni aveva diretto più di venti film, quasi uno all’anno, e quest’ultimo si prospettava come uno dei suoi migliori: una commedia brillante, ricca di battute, destinata ad un pubblico più vasto di quello, selezionato, che mostrava di apprezzare l’umorismo di Stewart Konisberg come risulta all’anagrafe, classe 1935. Con quel cognome asburgico era prevedibile che Woody adottasse un nome d’arte meno altisonante, e lo sostituì con Allen che era già il suo secondo nome dopo Stewart. Ma a film finito il regista non era affatto felice: erano i giorni in cui era esploso il “caso Soon Yi” e la stampa mondiale lo assediava rendendo sempre più invivibili le sue giornate.

 Allen abita da anni a Broadway in un grande appartamento con vista su Central Park e ne esce ogni mattina per recarsi a piedi al suo ufficio, che altro non è se non una suite dell’hotel Marriott, blindata contro qualunque intruso. Come previsto, il film fu un successo, l’attrice Dianne Wiest ebbe l’Oscar come non protagonista. Il pubblico accorse numeroso, la critica non lesinò elogi. Ma Allen era triste: lo scandalo montato da Mia Farrow che lo accusava di aver insidiato una delle sue bambine, la piccola Dylan di sette anni, e soprattutto di aver avuto rapporti sessuali con la figlia adottiva Soon Yi (che poi avrebbe sposato) lo aveva stremato. Ma il distributore italiano del film, De Laurentiis, pensò che era il momento di fare un lancio in grande stile e strappò a Woody la promessa di farsi intervistare da un giornalista italiano. Andai a New York per il TG 2. Allen pose una condizione: nessuna domanda su Soony. D’altronde un giornalista cinematografico che abbia l’occasione di intervistare Woody Allen non è certo a corto di argomenti e la voce Soon Yi fu accuratamente evitata. Del resto era più gossip che cinema. 

Sospettosissimo, Woody si accomodò sul divanetto della suite davanti alla telecamera e scuro in volto rispose cortese a tutte le domande. Ma sembrava più un condannato a morte in attesa dell’esecuzione che un regista spiritoso come lo avevamo conosciuto. Comunque, dopo il rituale scambio di domande e risposte, nella speranza di strappargli un sorriso, per ultima ne feci una che sembrava una delle sue battute: “Lei da giovane esordì nel cinema scrivendo le battute per i comici che andavano per la maggiore. C’è oggi qualcuno che le scrive per lei?”. E Allen rise. La sera a cena in un ristorante italiano con la specialità della mozzarella di bufala di cui era ghiotto, Woody si ricordò della battuta e mi sorrise ammiccante.

Da “Via Livorno, La Quercia editore, autobiografia di Sandro Marucci giornalista Rai e tutor della scuola di giornalismo dell’Università Luiss.

   

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