Libri. Storie vere di cani veri. “Picchio & Spilù, una pappa per due”

L’arrivo a casa nostra di Picchio era stato memorabile fin dal primo momento.

Quella mattina di primavera, di randagi in cerca di asilo in giardino ne arrivarono, trotterellando, due insieme. In verità, uno, il più grosso, era già stato visto gironzolare nei dintorni, l’altro un cuccioletto dall’aria furbetta gli stava alle calcagna deciso a non farsi distanziare. Era evidente che si erano incontrati nel loro girovagare e avevano deciso di condividere il proprio destino, quale che fosse. Quel giardino curato in ogni particolare con al centro una bella casa dall’aria ospitale li aveva incuriositi e avevano deciso di farsi vedere con la segreta speranza di non essere cacciati via. 

A farsi avanti è stato soprattutto quello grosso, un bastardone dal pelo corto bianco e nero e un muso a guardalo bene neanche tanto intelligente, ma simpatico. Seduto composto come un cane di gesso di quelli che vedi ai lati del cancello delle case di campagna, aspettava senza muovere un muscolo. “Possibile che non mi abbiano visto?” sembrava chiedersi quel suo sguardo attento, fisso sulla porta finestra della cucina da dove filtrava un invitante profumino d’arrosto. L’altro, il cuccioletto, più irrequieto avrebbe preferito passare all’azione, che so, provare a spingersi verso la casa, abbaiare o comunque farsi sentire. Ma il “vecchio” aveva deciso altrimenti e con uno sguardo severo lo teneva a bada: aveva deciso che era meglio aspettare, qualcosa sarebbe successo, prima o poi. E infatti, dopo un po’ la porta della cucina si è aperta e una mano generosa ha deposto sull’erba una ciotola colma di buone cose da mangiare. E li accade un fatto strano: il vecchio cane fa per avvicinarsi alla ciotola, ma non la raggiunge, si ferma a metà strada, mentre il suo giovane e pauroso amico è rimasto indietro, incerto sul da farsi. Era evidente che qualcosa tratteneva il cane più grosso dal fiondarsi sulla scodella, mentre il più piccolo restava indietro trattenuto dalla paura. 

Ma che cosa impediva a quel cagnone che aveva addosso segni evidenti di un passato da randagio, soprattutto una fame da lupo, dal far suo quel cibo generosamente offerto con un invito esplicito: “Tieni, mangia, non hai fame”? E il randagio affamato rispose al quesito con un cenno del capo: si volse verso il compare e tornò a guardare la ciotola. Aveva una domanda nello sguardo: “E se io mi mangio tutto, quel poveretto resta a pancia vuota?” Fortunatamente il padrone di casa capì e tornò subito dopo con una seconda ciotola nella quale aveva versato metà del contenuto della prima. Solo allora, il cagnone dopo quel bel gesto di solidarietà canina, si decise a mangiare e accanto a lui anche il piccoletto fece il primo pasto abbondante della sua vita da randagio. Inutile dire che dopo questa performance, i due cani furono entrambi adottati e restarono per tutta la vita nel giardino di quella ospitale casa di veri cinofili. Furono accuditi, vaccinati, medagliati e vissero felici e contenti.

 Furono chiamati l’uno Picchio l’altro Spilù. Erano diversissimi di carattere: quello grosso sembrava vivere per mangiare, quello piccolo, che nel frattempo era cresciuto ma era rimasto di taglia media, all’opposto sembrava mangiare solo per vivere: mentre il primo non mancava occasione per abbuffarsi, il secondo ogni volta piluccava dalla sua ciotola con aria indifferente: aveva altri interessi, lui, si era ritrovato un istinto da cacciatore e qualche gallina del vicinato ne fece le spese, e poi aveva un debole per le cagnette. Una volta ne seguì una in calore, lungo la strada spingendosi oltre dieci chilometri da casa. Dato per perso fu per fortuna ritrovato in tempo e riportato all’ovile. Quando il vecchio che si era fatto davvero vecchio morì per un blocco renale, il compare di avventure si mostrò davvero addolorato, non volle mangiare per due giorni filati. E quando il grosso fu sepolto sotto una mimosa, il piccolo fece un gesto con il quale sembrò volesse ricambiare la scodella divisa per due di tanti anni prima: si procurò un bellissimo osso del bollito e lo sotterrò nella terra smossa della tomba. Non lo aveva mai fatto prima di sotterrare un osso, quello è stato un gesto d’amore verso l’amico, conosceva bene la sua passione per il cibo, è stato come portare un fiore sulla sua tomba.

Da “20 storie vere di cani veri” di Sandro Marucci, la Quercia editore 2021 – 4

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