ROMA – Per un romano recarsi ai Musei vaticani è come un’esplorazione dentro la propria casa, una rivisitazione della propria radice esistenziale. Non c’è un posto dove il mistero dell’arte sia più insondabile di questo luogo frequentato da oltre 3 milioni di visitatori all’anno (primo nella graduatoria nazionale, seguito dalla Galleria degli Uffizi a Firenze). Allo stesso tempo, i Musei vaticani spiegano la potenza del papato nei secoli e quella dell’immagine. Già, perché una visita in questo luogo topico è un’esperienza fondamentale per costruirsi un percorso iconografico interiore. Il cammino che un fotografo può intraprendere nel suo percorso obbligato è quello normale di un turista ma questo è il fascino. Il divieto di fotografare alcuni spazi consente una memorizzazione che poi trascolora nel ricordo e nella nebbia. Non ci sono immagini dell’approdo, cioè la Cappella Sistina, perché, giunti al termine del cammino, si potrà soltanto volgere lo sguardo in alto, senza fotografare e osservare il mondo di Michelangelo come lo spazio oltre il confine immaginabile. Un’esperienza estatica e trascendente, ma non solo dal punto di vista religioso (per chi crede) ma anche dal punto di vista iconico. C’è la consapevolezza di aver raggiunto la vetta della percezione e di poter finalmente smettere di fotografare.
foto di Fulvio Lo Cicero